C’era una volta una stronza in Canadà

di Alessandra V.

Il blog di Alessandra: unabiondatralenuvole.wordpress.com

Capitolo 10 – Alejandra nell’abisso

Uno strano ronzio mi risuona in testa come uno sciame di mosche che mi
vola intorno. Nell’oscurità in cui sono piombata ho ancora l’immagine
dell’acqua che si tinge di rosso. Frammenti di ricordi che si
accavallano confusi come in un sogno. Coraline che piange arrabbiata
mentre mi urla addosso qualcosa a proposito della serata. Qualcosa che
riguarda qualcuno che devo aver offeso.
Mi girano in testa queste parole “Io non ce la faccio più”. Ecco, quel
qualcuno era un suo amico. Greg… o Craig, non ricordo. Un suo vecchio
compagno di scuola che è venuto a trovarla dalla Nuova Zelanda. Durante
il cenone di capodanno aveva provato ad attaccare bottone e io l’avevo
umiliato davanti a tutti trattandolo come un morto di figa e alludendo
pure al fatto che fosse minidotato, non so per quale motivo.

L’immagine ora torna all’acqua che si tinge di rosso. Sono sdraiata
nella vasca, alzo il braccio e guardo il piccolo rivolo di sangue che
dalla fessura sul mio polso scende fino al gomito per poi gocciolare
giù. Sul bordo, due lamette sporche anch’esse di rosso giacciono accanto
ad un paio di rasoi di plastica  rotti. Mi tornano altre parole di
Coraline “Tu sei una persona impossibile, Alex. Odi tutti, tratti male
chiunque, dici che non vuoi amici… ma la verità è che nessuno riesce a
sopportarti”. La vedo lì davanti a me, in salotto, con lo sguardo
esasperato e le braccia incrociate mentre conclude “E credo di non
sopportarti più neanch’io”.
Io rispondo tornando sulla serata, che non è colpa mia se il suo amico
più caro si è offeso per così poco, che non colpa mie se è uno sfigato.
Coraline perde il controllo e mi molla uno schiaffo “ALESSANDRA BASTA!” .

Restiamo qualche secondo in silenzio una di fronte all’altra, poi Cory
si rimette il cappotto e con gli occhi bassi mi passa accanto per uscire
di casa sussurrando “Mi dispiace, io ci ho provato… ma tu sei proprio
matta.”
Queste sono le sue ultime parole: “Tu sei proprio matta.” Mi ritornano
in mente come pugnalate, come bastonate sul cranio. Parole che ho già
conosciuto e che mi riportano a cose che avrei voluto dimenticare.
“Tu sei proprio matta”.
Il sangue continua a gocciolare dal mio braccio. Di colpo ho 6 anni.
Sono a Buenos Aires e i miei compagni di scuola sono fuori a giocare per
l’intervallo del dopopranzo. La porta della classe si apre e la maestra
Marcela trasalisce portandosi la mano davanti alla bocca. Ho in mano un
lungo righello di plastica e davanti a me, sdraiata a pancia in giù sui
banchi, la mia compagna Lola Hernandez sta piangendo. Ha le mani legate
e il sedere scoperto, rosso di botte, da cui spunta un grosso
pennarello viola.
Usciti dal suo ufficio, la Preside sta parlando a mio padre di dottori
per bambini che hanno dei problemi. Più tardi, durante la lezione di
storia, una voce inizia a spargersi tra banchi: “Alejandra es loca”.
Ho 13 anni e vivo da poco a Trieste. Appoggiata alla giostra degli
autoscontri mi sto baciando con un ragazzo che non conosco mentre guardo
negli occhi il mio fidanzatino che sta arrivando all’appuntamento. Non
so perché ma ho bisogno di scoprire com’è lo sguardo di una persona nel
momento esatto in cui il suo cuore si spezza. Quando lo confido alle mie
compagne vengo presa per pazza e alcuni giorni dopo sul muro della
scuola appare una scritta “ALESSANDRA V. TROIA PSICOPATICA”.
Ho 18 anni e sono al telefono con Giorgia, la mia migliore amica. Sta
piangendo perché è morta sua nonna e io sono talmente eccitata dal suono
dei suoi singhiozzi che mi sto masturbando con tre dita mentre cerco di
mantenere una voce normale per non farmi scoprire.
E ora sono di nuovo nella vasca. L’acqua ha ormai perso la sua
trasparenza, intorbidita dal rosso del sangue, e io sento la testa che
si fa pesante mentre gli occhi iniziano a chiudersi.
“Tu sei proprio matta”, un’ultima volta. E poi il buio.

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