C’era una volta una stronza in Canadà
di Alessandra V.
Capitolo 5 – Segreti
– Oh no, è mancata di nuovo la luce!
Sdraiata sul letto con gli occhi chiusi e la mente ancora annebbiata dallo champagne sento Coraline lamentarsi dal bagno.
Nell’oscurità il suono dei suoi passi scalzi si fa sempre più vicino
– Ehi, ma stai già dormendo? – mi tocca una gamba per capire se sono viva
– Mmmh no no… sono sveglia… – rispondo con una voce che sembra dire tutto il contrario.
Questa sera siamo state alla cena per l’addio al nubilato di Zoey, una
sua amica che lavora nel cinema. Abbastanza simpatica se non fosse che
appartiene alla categorie delle bruttine acidine, cioè quelle che si
autoconvincono che le ragazze più carine di loro sono automaticamente
meno intelligenti. Come se ci fosse in natura una sorta di bilanciamento
(fatevene una ragione: ci sono anche le persone belle e intelligenti, e
quelle brutte e stupide).
Il locale era uno di quelli del tipo
“nondevopensareaquantohospesopernonsentirmimale”, ma almeno, devo
ammettere, era davvero splendido. Ultimo piano del palazzo di una nota
catena di alberghi di lusso nel centro di Vancouver, ambiente stiloso
con luci soffuse e vista mozzafiato sulla città.
– Te l’avevo detto di non ingozzarti di aragosta – mi rimprovera
– Burp – le sbuffo in faccia un rutto soffocato di alcool e crostacei
Come una mamma premurosa Cory mi sfila gli stivali, mi spoglia e mi
mette a letto. Poi, a tentoni nel buio, va a prendere un bicchiere
d’acqua per la notte, si toglie i vestiti e mi raggiunge tra le coperte.
– Uffa, volevo andare avanti con Murakami stasera… – si lamenta mentre mi abbraccia – Alex io non ho sonno, che facciamo?
– Mmmh… e cosa possiamo fare senza luce?
Coraline resta un po’ in silenzio e poi si illumina.
– Raccontami un segreto.
– Un segreto?
– Sì dai!
– Ma che segreto?
– Non lo so, qualcosa… qualcosa che non hai mai raccontato a nessuno!
– A cinque anni anni ho fatto la pipì negli stampini dei ghiaccioli e l’ho messa nel congelatore per vedere come veniva.
– Ahahahah che schifo, non intendevo una cosa del genere! Pensavo a cose più… dai, hai capito.
– Ahah sì sì.
– Allora?
– Allora cosa? Io te ne ho già detto uno, adesso tocca a te.
– Uff, ok, fammi pensare… Ecco, da ragazzina mi piacevano già le
ragazze, e una domenica a casa da sola mentre i miei erano a teatro, in
preda agli ormoni e alla curiosità avevo provato a chiamare una hot
line… Sai, le linee erotiche?
– Ma dai, e…?
– Niente, la tipa dall’altra parte credo fosse più imbarazzata di me,
forse sono stata la prima ragazza ad aver mai chiamato quel servizio…
– Probabilmente anche l’unica nella storia ahah.
– Dai non dirmi così… ero curiosa – mi dà uno schiaffetto affettuoso
sul sedere da sotto le coperte – Tocca di nuovo a te… ma stavolta
voglio un segreto vero.
– Okkey…
Mi fermo qualche minuto a pensare, con il rumore della pioggia sul balcone che riempie la stanza.
– La prima volta che ho avuto un orgasmo, ero da sola a casa dei nonni,
mi sono spaventata tantissimo perché ho pensato che stavo per morire.
– Addirittura? Come mai?
– Beh… mio padre era morto qualche anno prima, di arresto cardiaco. Mi
avevano spiegato più o meno cosa significava e in quel momento ho
pensato che mi stava succedendo la stessa cosa.
– Davvero?
– Sì, ero anche andata in ospedale, di nascosto, da sola, perché mi vergognavo a dirlo… che figura.
Cory mi abbraccia affettuosamente accarezzandomi i capelli
– Mi spiace che tu abbia perso tuo padre così presto, dev’essere stato terribile…
– In realtà no… Penso di non aver pianto neanche una volta.
– Non eravate legati?
– Sì certo, ma a quell’età immagino scattino dei meccanismi di
autodifesa che ti proteggono. Altrimenti un dolore così grande ti
farebbe impazzire, non credi?
– Sì, credo di sì.
– Comunque io vivevo già da anni in Italia con i miei zii.
– I tuoi genitori non erano italiani?
– La mia famiglia è argentina, io sono nata a Buenos Aires.
– E tua madre?
– Mia madre è mancata che avevo 2 anni.
– Te la ricordi?
– No, ero troppo piccola… Anzi, in realtà un ricordo ce l’ho, ma è
solo un’immagine, un flash: io con un libro di Snoopy in mano e questa
donna sorridente con i capelli biondi lunghissimi sul letto
dell’ospedale che mi dice “Alejandra, quieres que te lo lea?”. Ma è
tutto talmente sbiadito che non so più neanche se sia successo davvero o
se si tratta solo di un sogno.
Al buio sotto le coperte Cory mi abbraccia forte.
– Dai, tocca a te ora – le dico cercando di scrollare via questo momento di tristezza.
– Mmmh non saprei… dopo quello che mi hai raccontato non mi viene più
niente… – confessa colpevole con la testa contro il mio seno.
– Facciamo così allora, questo segreto te lo chiedo io, però sei obbligata a rispondere.
– Ok, ci sto! – riacquistando finalmente il sorriso
– La prima volta che siamo venute qui, quello che mi hai detto quando
l’abbiamo fatto, quando mi hai chiesto di trattarti male, “Dimmi che ho
un brutto culo”, te lo ricordi?
– Sì…
– Perché me l’hai chiesto?
– Volevo sentirmi umiliata da te.
– No, voglio dire, perché mi hai chiesto proprio una cosa del genere?
– Mi stai chiedendo se c’è dietro qualcosa?
– Esatto.
– Mmmh, non lo so… forse sì… Quando avevo 12 anni ero un po’
cicciottella e sai come sono spietati i ragazzi a quell’età. Mia madre
in Nuova Zelanda mi faceva mettere delle terribili tutine aderenti che
quando correvo il sedere mi ballava come un budino. A scuola mi
chiamavano Cora-lard.
– Ahahah, bellissimo, d’ora in poi ti chiamerò così!
– Ecco, lo sapevo che non dovevo dirtelo.
– Scusa, ti dà ancora fastidio?
– Ma no, adesso ci rido anch’io, però all’epoca ci stavo malissimo…
Forse è per questo che cerco l’umiliazione nel sesso, per esorcizzare
queste paure…
– Sì, potrebbe essere.
– E a te come mai piace stare dall’altra parte? Perché ti piace sottomettere?
– Me lo sono chiesta tante volte. Credo che alla fine sia perché mi piace vedere una persona liberata.
– Liberata?
– Sì, dalle sue maschere, dalle sue armature, da tutto quello che la
società l’ha obbligata ad indossare per proteggersi… finendo col
nascondere o addirittura dimenticare chi è veramente.
– Non l’avevo mai vista in questo modo…
– La prima volta che hai accettato di farti sottomettere, umiliare, che
hai vinto l’imbarazzo e le paure ti sei lasciata andare, come ti sei
sentita?
– Mi sono sentita libera.
– Forse è quello il momento, l’unico momento in cui siamo davvero chi siamo.
Cory mi dà un bacino sulla guancia, ci abbracciamo e ci stringiamo sotto
le coperte mentre il rumore della pioggia si fa sempre più forte. Ci
accarezziamo dolcemente, al ritmo del nostro respiro, le nostre mani si
spostano dal viso fino alle spalle, alle braccia, ai fianchi e poi tra
le gambe.
– Alex, hai sonno?
– Un po’…
– Facciamo l’amore?
– Sì.