C’era una volta una stronza in Canadà

by Alessandra V.

Capitolo 1 – Dimmi che ho un brutto culo

Un vibratore bianco in perfetto stile Apple con cavo usb per essere collegato al telefono e vibrare a tempo di musica.

Tre bottiglie di finto-sperma di marca coreana, riscaldabile al microonde, per le amanti dell’auto-bukkake.

Un DVD incomprensibile di importazione con in copertina delle ragazze giapponesi intervistate che piangono.

Svariati butt-plug dotati di code colorate dal marrone realistico al
fucsia, a seconda che vogliate sentirvi una puledra o un MyLittlePony in
calore.

– Wow – penso osservando la variopinta vetrina di un sexy shop – Qui siamo avanti anni luce rispetto allo standard italico.
Sì perché vivendo a Vancouver da quasi 2 mesi (la Contessa aveva
ragione, alla fine sono rimasta) una delle prime cose che ho notato è
come l’erotismo sia davvero lo specchio della modernità e del livello
culturale di un paese.
Guardo i sofisticati articoli erotici e mi sento come se fossi arrivata
nel futuro mentre se ripenso all’Italia è come tornare indietro di 100
anni ad un immaginario erotico da dopoguerra fatto di giarrettiere e di
corna con l’idraulico.

Sono le 5 del pomeriggio, il sole sta iniziando a calare sui grattacieli
della città, le persone tornano a casa dal lavoro e il tempo sembra
mettersi male con le nubi che minacciano pioggia. La mia sessione
fotografica all’agenzia di moda per oggi è finita, le ragazze della
sezione marketing mi hanno chiesto se stasera vado a bere qualcosa con
loro ma sinceramente non ne ho la minima intenzione.
Anche perché so già come andrà a finire: una serata a cercare di
ubriacarmi da sola mentre loro parlano tutto il tempo della casa, si
lamentano dei mariti che dopo due anni di matrimonio hanno già smesso di
scoparle e mi fanno vedere le foto dei loro bambini di merda.
Meglio una serata da sola, tranquilla… e poi ho voglia di regalarmi qualcosa. Penso tutto questo ed entro decisa nel negozio.

Sono in piedi chinata verso una vetrinetta di piercing quando sento una voce allegra alle mie spalle
– Hello, can I help you?
Mi volto e vedo una ragazza sorridente che sta sistemando dei vibratori
di Hello Kitty su uno scaffale. E’ di poco più bassa di me, ha i capelli
verdi, rasati solo da un lato, un lungo tatuaggio giapponese che le
copre il braccio sinistro e due piercing: due palline sulle guance che
le impreziosiscono il bel visino.
– Ehm.. sì. Stavo cercando… – le spiego in inglese – ..cioè, volevo
dire, sarei interessata a farmi un piercing… in verità non ho
ancora…
– Mi spiace – mi interrompe subito – Oggi sono senza attrezzatura, dovresti ripassare domani.
– Oh.. ok – ma mentre mi sto voltando per andarmene, aggiunge
– E dove volevi farlo?
– Beh, in realtà non ho ancora deciso.
Mi avvicino ad aiutarla raccogliendo una scatola che le è caduta
– Mi è sempre piaciuto qui… – indicando il sopracciglio – …ma forse
qui sarebbe meglio… – indico la parte superiore del naso.
La ragazza si ferma e rimane un attimo in silenzio, pensierosa, poi si avvicina
– Posso? – mi chiede, e senza neanche darmi il tempo di rispondere
inizia ad esaminarmi il viso spostandolo a destra e a sinistra con
l’espressione assorta di un archeologo con un reperto antico
– Guarda… – conclude – ..se vuoi un consiglio, nessuno dei due.
Resto un po’ spiazzata dalla risposta che davvero non mi aspettavo
– Sì, ti starebbero bene… ma hai una bocca così particolare, così
bella… – mi dice sfiorandomi le labbra, poi come colta da
un’illuminazione
– Ecco… – si china a cercare nella vetrina, prende un anellino fatto a
U, me lo infila sul labbro e con l’altra mano, recupera allungandosi
uno specchietto sul bancone.
Me lo porge per farmi guardare. Nel riflesso vedo la simulazione di un
piercing al centro del mio labbro inferiore e di fianco la sua
espressione compiaciuta di chi sa già di aver avuto ragione.
– Sì, mi piace – le sorrido soddisfatta mentre le restituisco l’anello e lo specchietto
– Perfetto! – mi risponde tutta contenta – Allora a domani! –
Sto per salutarla quando, guardandomi intorno per l’ultima volta, non posso fare a meno di chiederle
– Senti… – prendendo in mano il dvd dai caratteri nipponici che avevo visto in vetrina – Ma… cos’è?
– Oh… – mi risponde eccitata – …quello mi è arrivato ieri, è l’ultima novità in fatto di dacrifilia.
– Dacrifilia?
– Sì, feticismo delle lacrime.
Si avvicina e apre il dvd per farmi vedere il libretto all’interno
– Vedi, ci sono queste ragazze che vengono intervistate e ognuna si
mette a piangere raccontando un episodio triste della giornata.
Mi guarda come se questa descrizione avesse perfettamente senso.
Sono confusa
– E… non succede nient’altro? Voglio dire, piangono e basta?
– Piangono e basta – annuisce
Si mette a sfogliare il libretto – Allora, c’è Hinata che è triste
perché il capo l’ha sgridata al lavoro, Sayaka che le è morto il cane,
Nozomi che è stata presa in giro a scuola, Megumi che…
– Non ci posso credere… – osservo sbalordita
Lei si ferma, un po’ imbarazzata, evidentemente non ha capito il tono
della mia reazione e di colpo è come se si vergognasse un po’.
Finché non concludo ridendo
– …Ma questa è la cosa più bella del mondo!
In un attimo riacquista tutto il suo entusiasmo
– Ahahah, vero? – Con gli occhi che brillano mi parla vicina come se fosse una confidenza tra amiche
– Sai, io adoro il fetish giapponese, ci sono delle cose pazzesche! Ti faccio veder….  
Il fragore improvviso di un tuono poco distante ci interrompe facendoci
sobbalzare come in un thriller. Dalla vetrina vediamo la pioggia che ha
iniziato a battere violentemente mentre i passanti stanno accelerando il
passo coprendosi la testa con gli abiti.
– Aspetta qui un attimo… – mi dice lasciandomi il dvd in mano – … arrivo subito.
Sto esaminando sempre più rapita il booklet del curioso feticcio nipponico quando la sento urlarmi distante
– SENTI, TI VA UN TE’?
– COME SCUSA? – mi volto e la vedo in piedi su una scaletta
pericolosamente in bilico vicino all’entrata ad armeggiare con i comandi
per aprire le tende
– STAVO PER FARMI UN TE’… LO VUOI ANCHE TU?
Perché no? penso, dal momento che sono senza ombrello, tanto vale aspettare che finisca di piovere.

——

Sedute in un angolo appartato tra vibratori tentacolari, cinture di
castità e un ammiccante Obama gonfiabile con uccello a due velocità,
stiamo bevendo un earl grey mentre facciamo conoscenza sulle note dei
Ramones.
Lei si chiama Coraline ma si fa chiamare Cory, ha un anno in meno di me
ed è arrivata qui 2 anni fa da Christchurch, Nuova Zelanda perché aveva
bisogno di prendere fiato da una storia d’amore finita male e perché era
stanca della vita nel suo paese.
Mi racconta che la Nuova Zelanda è molto tranquilla, molto pulita, molto
sicura ma vivere lì era come stare a guardare il mondo da un oblò,
isolata lontano mentre le cose importanti sembravano accadere sempre da
un’altra parte. Voleva sentirsi un po’ più parte del mondo, all’inizio
aveva pensato agli Stati Uniti ma c’erano troppe cose laggiù che non le
stavano simpatiche e così ha ripiegato per il Canada.

Mi rivela inoltre che uno dei motivi per cui adora lavorare nei sexy
shop è perché è l’unica situazione in cui i clienti non si possono mai
permettere di trattarti male.
– Perché è come se qui tu avessi sempre il coltello dalla parte del manico. Li tieni per le palle.
Posa la tazzina per spiegarsi meglio
– Prendiamo ad esempio il classico cliente rompicoglioni, di solito
maschio bianco minidotato con il SUV. Se fossimo, che so, in uno
Starbucks non aspetterebbe altro che il primo errore della povera
sventurata al bancone per poter alzare la voce e sfogare così la
frustrazione per il suo micropene, giusto?
Annuisco mentre soffio sul tè bollente
– Beh, qui non può. Perché magari sta comprando un video di farting e…
– Farting?
– Sì, ciccione che scoreggiano in faccia alla gente – specifica con noncuranza
– Oh, ok.
– Capisci che voglio dire? Da una parte è intimidito dalle sue
perversioni, dall’altra probabilmente se la fa sotto alla possibilità di
essere scoperto dai colleghi o dalla moglie. E quindi non si azzarda
minimamente a provare a rompere il cazzo.
Devo riconoscere che il suo discorso non fa una piega
– Dovresti vedere certi pezzi grossi, ma di quelli super-mega-stronzi,
come cambiano quando sono qui a comprarsi l’ultimo modello di bocca
vibrante o il kit col ciuccio e il pannolone per vestirsi da bebè,
diventano docili come agnellini!

Si è fatta ora di chiusura, la pioggia non accenna a fermarsi e dal
momento che abita all’ultimo piano dello stesso palazzo, Coraline mi
offre di salire un attimo da lei. Mi verrebbe da dirle che non è il
caso, che anche se mi bagno un po’ non muoio mica, ma è così carina che
alla fine mi lascio convincere senza fare troppa resistenza. E poi sono
anche curiosa di alcuni cartoni animati erotici giapponesi che vuole
assolutamente farmi vedere.

Tenendo su la borsa con la bocca, Cory apre la porta di casa
– Oh shit, è andata via la luce – commenta mentre clicca
sull’interruttore morto – Aspettami qui – Si toglie le scarpe e sparisce
nel buio.
Sento i suoi passi veloci muoversi nell’oscurità, poi un tonfo seguito da un – AHI! – e da svariate imprecazioni anglofone
– CORY, TUTTO BENE? TI SEI FATTA MALE? – le chiedo dall’uscio
– TUTTO OK… IL MALEDETTO SPIGOLO DEL CAZZO!
Una luce fioca è comparsa da una stanza, Cory esce zoppicando con due
candele in mano e viene verso di me ad accogliermi nel suo appartamento.
Il suo viso sorridente illuminato dalla calda luce dei lumini mi dà
subito una sensazione di intimo tepore facendomi sentire a mio agio e
contenta della piega imprevista che ha preso la giornata
– Il bagno è da quella parte? – indicando la stanzino da cui è arrivata
– Sì, ma al momento siamo senz’acqua… E’ per via di alcuni lavori che stanno facendo, tra poco dovrebbe tornare –
– Giusto per curiosità… – le chiedo ridacchiando – …c’è qualcosa che funziona in questa casa?
Lei posa le candele su un tavolino, mi prende per mano e mi conduce ad una porta-finestra chiusa – C’è questo…
Apre le imposte e quasi rimango senza fiato di fronte alla vista più stupefacente che abbia mai visto.
Esco sul balcone, la pioggia si è fermata e il cielo si sta schiarendo.
Gli ultimi deboli raggi di sole tingono il blu dell’oceano di sfumature
rossastre mentre le luci dei grattacieli iniziano a brillare
nell’oscurità imminente.
– Mioddio… – esclamo in italiano senza rendermene conto – E’ stupendo…
Cory viene di fianco a me, prende qualcosa dalla borsa e inizia a sistemare della marijuana su una cartina.
– Vuoi?

Restiamo in silenzio a fumare guardando Vancouver che sprofonda nella notte
– Alexandra… – mi dice ad un certo punto (non ha ancora capito come
si pronuncia il mio nome per esteso) – …io sto morendo di fame, ho del
ramen da fare al microonde, ti piace?
In un attimo realizzo di avere un buco allo stomaco grande come una caverna. Annuisco decisa ma prima di rientrare le chiedo
– Senti, ti dispiace se sto ancora un po’ qui fuori… a guardare la città?
– Eheh, è una droga, vero? – ed entra a preparare la cena.

——

Svaccate sul grande divano-letto al centro del suo monolocale stiamo
guardando un catalogo di piercing che mi ha portato per farmi scegliere
l’anello per domani.
Avanzi di ramen nei cartoncini e bottiglie di birra sono sparsi sul
tavolino di fronte, la calda voce di Jim Morrison esce dallo stereo, il
profumo d’incenso si spande nell’aria e la tv muta condisce questo
sapore di psichedelia anni 60 con immagini di scolarette giapponesi in
divisa seviziate da alieni tentacolari all’interno di un anime.
Mentre commentiamo i piercing, Cory mi chiede di raccontarle della mia adolescenza, dell’Italia, delle mie amiche, di Giorgia.
Ride battendo le mani ogni volta che salta fuori un episodio divertente e mi ascolta attenta nella parti più serie.

Verso le undici stiamo fumando erba in silenzio sdraiate una ai piedi
dell’altra, io distratta dalla tv, lei assorta nella musica mentre mi
accarezza dolcemente i piedi di fianco al suo viso.
Si volta verso di me
– Senti, posso farti una domanda?
Faccio segno di sì con la testa mentre faccio un tiro
– Tu sei dominante vero?
Totalmente spiazzata, non posso fare a meno di sbarrare gli occhi e quasi mi soffoco con il fumo
– No scusa, non importa – si corregge subito temendo di essere entrata troppo nel personale
– Sì… – le rispondo un po’ timidamente – …Credo di sì.
– Credi?
– Ho sempre avuto delle fantasie…
– Ad esempio? – si volta verso il mio piede e gli dà un bacino
– Beh, quando oggi ti ho detto che il dvd delle giapponesi era la cosa
più bella del mondo un po’ scherzavo… – vengo colta da un brivido –
…ma quelle cose lì in realtà mi eccitano.
– Ti eccita una ragazza che piange? – mi domanda un po’ maliziosa
spostandosi dal collo del piede verso le dita per baciarle dolcemente
– Mi eccitano le lacrime… – confesso mentre con un altro bacio, più intenso, le dita si infilano tra le sue labbra
– Mi eccita il sangue…
mi tocca le dita con la punta della lungua
– Mi eccita vedere una persona sottomessa… – le prende in bocca
– Abusata… – le morde
– Umiliata… – le succhia
La libido ha completamente annebbiato ogni traccia di lucidità.
Mi tiro su, paonazza, col battito a mille
Cory mi guarda negli occhi
– Ho voluto gettarmi ai tuoi piedi dal primo momento che sei entrata in negozio.
A queste parole, mi lascio definitivamente andare, le prendo il viso tra le mani e le infilo la lingua in bocca.
Ci baciamo con foga, come due ragazzine in piena tempesta ormonale, ci
infiliamo le mani sotto i vestiti, ci tocchiamo, ci spogliamo e ci
baciamo ancora. Poi ci separiamo, per riprendere fiato, e Coraline mi
dice una frase che ancora adesso mi risuona nelle orecchie facendomi
vibrare dall’emozione
– Alexandra… ti va di trattarmi male?
Sono talmente confusa dallo stato in cui mi trovo che non so neanche cosa e come rispondere
– Cosa… Cosa vuoi che faccia? – le chiedo ingenuamente come se fosse lei quella a dover decidere.
Lei si mette a gattoni, con la faccia verso i miei piedi e il sedere
verso di me. Si abbassa i pantaloni, volta la testa e con la voce
affannata per l’eccitazione e lo sguardo imbarazzato mi dice
– Dimmi che ho un brutto culo…
– C-come? – pensando di non aver capito bene il suo inglese
– Ti prego, dimmi che ho un brutto culo – ripete mentre riprende a baciarmi i piedi
– Dimmi che non mi scoperesti mai… Che sono un’imbranata, una asciugafighe…
Mi lecca le ditine, ci passa la lingua in mezzo, le succhia
– Che posso essere solo la tua patetica leccapiedi… –
Mi prende l’alluce in bocca
– …la tua succhia-alluci ridicola…  
– Cory… – le dico ansimando – …fermati… se.. se continui così…
Sento il cuore che sta per esplodermi e le ginocchia che mi tremano come attraversate da una scossa elettrica.
Lei si sposta sulla pianta, la lecca, la bacia, la morde
– Cory… sto per…
Mi dà un morso più forte, io butto la testa all’indietro, mi metto una
mano davanti alla bocca mentre con l’altra ancorata al letto strappo le
lenzuola e raggiungo il culmine con un urlo soffocato.

Sono distesa con gli occhi sbarrati verso il soffitto. Esausta, disorientata, incredula.
– S-sono… – inizio a dire con un filo di voce – …venuta?
Cory mi viene vicino e mi da un bacio sulle labbra
– Mi sa proprio di sì – mi dice sorridendo
Tiro su la testa cercando di riprendere fiato
– Ma… com’è possibile??
– Non ti era mai successo? – mi chiede sdraiandosi di fianco a me
– No… Non così…
Mi sposta i capelli dal viso
– Raggiungere un orgasmo in questo modo è una cosa piuttosto rara… – mi dà un bacino sulla fronte – …Sei speciale!
Appoggia la testa sul mio petto e restiamo così per un tempo indefinito.
Io le accarezzo i capelli, lei alza ogni tanto lo sguardo per darmi un
sorriso mentre, a bassa voce, segue la musica che riempie la stanza:

Riders on the storm
Riders on the storm
Into this house we’re born
Into this world we’re thrown
Like a dog without a bone
An actor out on loan

Riders on the storm

Sono le 2 passate quando sto salendo sul taxi per tornare a casa.
Coraline mi ha detto che potevo dormire da lei ma domani devo alzarmi
presto e l’agenzia è lontanissima dal suo quartiere. E poi è stato tutto
talmente nuovo e forte che ho bisogno di stare un po’ da sola.
– Dove la porto, signorina?  
Il tassista di colore con la faccia sorridente di Forest Whitaker mi sveglia dai miei pensieri
– Uh…West End! – rispondo veloce
Sistemo le mie cose e mi accorgo che alla radio stanno passando la stessa canzone che stavamo ascoltando prima
– Le dà fastidio? Vuole che abbassi un po’? – mi chiede gentile
– No no, affatto – e appoggiata al finestrino, con le luci della città
che mi passano davanti, chiudo gli occhi, e mi addormento.

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