Crema liquida

di Altramira

Questo racconto brevissimo risale nella sua prima stesura a un po’ di anni fa, ma ho pensato di rivisitarlo e correggerlo per Venere. Spero vi piaccia, nonostante l’evidente brevità.

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Il sole le scalda la schiena. Sdraiata sulla sabbia cocente leggermente inumidita dalle gocce saline che scendono dal suo corpo per sparire tra i granelli. I capelli raccolti evidenziano il collo morbido. I gomiti formano un angolo impreciso. I palmi delle mani assaporano la ruvidità della rena, mentre il dorso fornisce appoggio alla guancia rilassata. La crema. Liquida, fredda, gocciolante. Le mani, sottili e delicate come solo le mani di una donna possono essere. Spalmata in ogni centimetro di pelle. La schiena, le gambe, i piedi e il collo. Il collo morbido, sì, perché ora era libera da qualsiasi tensione. Massaggio. Pollice. Contrapposti indice e medio. Ancora massaggio. Piacevole sensazione, quasi inebriante. Le mani sui glutei. Il costume sottile tra le natiche. Il costume sottile che fascia come una seconda pelle il sesso rasato.

La crema liquida che scende, cola, s’approfonda tra le natiche. Nei recessi. Giù in fondo. Fredda sulle labbra polpose, ora rabbrividite dal piacere gelido. Un solletico sottile attraverso il costume. A tratti. Forse lo stecco del ghiacciolo appena finito. Sottile e persistente ora, a percorrere i bordi del solco, senza violare il sottile velo di stoffa bianca che lo divide dalla carne. In alto e in basso un po’ più profondo. Languore che nasce tra le cosce strette che fremono. La lingua sui denti ad assaporare l’aria, a nascondere la voglia di lasciarsi completamente andare. No, qui no. Troppe persone attorno. Lo stecco insiste, ancora passa al di fuori cercando uno spiraglio. La stoffa bianca s’appiccica, s’introduce nel solco sottile dei petali carnosi che si stanno schiudendo paradossi tra gambe serrate di vergogna. Preciso nel suo stuzzicare senza sosta. Ancora crema liquida sotto al costume. Cola abbondante questa volta e riempie lo spazio lasciato libero dalla schiusa del frutto maturo. Si stirano i muscoli, quasi senza volere. Le dita s’affondano nella sabbia, pregne di un piacere sconcio. Stringono pugni di granelli a evitare che la voce prorompa oscena. Il vortice disegnato dal fine strumento s’affonda. Il piacere risale lungo la colonna vertebrale e si fissa nel cervello. La bocca aperta in una muta smorfia d’agonizzante godimento. La lingua stride asciutta sui denti e le labbra secche. Il respiro sembra vibrare allo stesso ritmo delle contrazioni che più in basso schiudono e richiudono la sua carne ormai fradicia. Lo stecco stringe il campo sul suo gioiello ormai teso e taciturnamente cresciuto. Più dolce e stuzzicante ora. Movimento esperto. La voglia al culmine. Sentore d’orgasmo. No. Sparisce all’improvviso il tocco. Non ha il coraggio di voltarsi.

Il cellulare. Messaggio. Leggi.

“Abbiamo solo iniziato”

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