Ele

di Esperia

Un vecchio amico con una caratteristica speciale

Potete contattarmi all’indirizzo:

fildispada@yahoo.it

Capitolo 1 – Ma guarda chi si vede…

Stavo mangiando un panino al bar in via Gallarate insieme ai miei colleghi quando, chi ti vedo? Ernesto!
– Ele, vecchia puttana! Sei proprio tu!
– Marco? Cosa ci fai qui?
– Orpo, quanti anni sono passati? Quindici, sedici?
– M’è venuto un colpo quando ho sentito quel vecchio soprannome. Nessuno mi chiama più Ele da anni!
– Come si può dimenticare un vecchio compagno di liceo come te… Credevo vivessi a Trento ormai.
– Infatti, ma sono qui per visitare un possibile cliente, una ditta qui
di fronte, l’ABC, un produttore di materiale medico, non so se la
conosci…
– Ma sicuro! Guarda che combinazione, io lavoro proprio lì! Nelle vendite!

– Incredibile… magari mi dai una mano: devo parlare con un certo Franco Silvani, l’incaricato agli acquisti.
– Franco è un ingegnere di primissimo livello, un grande professionista,
molto competente. Se lo vedo, metto una buona parola per te. Quanto
rimani a Milano?
– Mi fermo qui stanotte. Oggi dovrei vedere Silvani e domattina sul
tardi ho in programma di fare una presentazione alla direzione generale e
spero di chiudere.
– Che cosa stai offrendo?
– Ho messo in piedi una piccola azienda che rappresenta un colosso
svedese che produce macchinari per la produzione di oggetti in plastica.
Per quest’azienda mi sono indebitato fino al collo. Spero di chiudere
con l’ABC, è un affare da cinque milioni. Se mi va male, le banche mi
strangolano…
– Ele, devi assolutamente venire a cena da me questa sera, non accetto
scuse. Ora chiamo Silvia e organizziamo. Non ti sarai già trovato
qualche gnocca, no?
– Sei molto gentile, mi farebbe davvero piacere grazie. Non sapevo che fossi sposato.
– Non ancora per la verità. Abbiamo in progetto di sposarci in primavera, ma viviamo già insieme da sei mesi.
– È carina?
– Vedrai tu stesso. – Sì, la mia ragazza è davvero carina e provavo un certo orgoglio a farmi vedere con lei.

Silvia al telefono brontolò per l’improvviso invito, quando due giorni
prima le avevo promesso che saremmo andati a teatro, quella sera.
L’avevo scordato, diavolo!

Alla fine acconsentì, ma mi avvertì che non avrebbe preparato niente di
speciale. Sospettai che mi avrebbe tenuto il muso per tutta la sera.

Quando tornai in ufficio, chiesi alla segretaria di investigare su Ernesto e sulla sua azienda.

Nel tardo pomeriggio fece capolino nel mio ufficio e mi ragguagliò su
quanto aveva potuto verificare. Risultava che: 1) i macchinari svedesi
che proponevano erano di prima qualità. 2) l’azienda era al cento per
cento di proprietà di Ernesto.
L’anno prima il bilancio aveva chiuso abbastanza male e la possibilità
di sopravvivere, in questi tempi di crisi, dipendeva dalla chiusura di
un paio di contratti, uno dei quali il nostro, e sulla continuità del
rapporto di rappresentanza con gli svedesi.

S’era ormai fatto tardi e uscendo passai dall’ufficio di Franco per chiedere cosa ne era stato della riunione con Ernesto.
– Mi sembra un’ottima proposta. Le macchine che ci offre sono davvero di
un’altra categoria e ci permetterebbero di ridurre i costi, migliorare
la produttività, la qualità e la varietà dei prodotti. I miei dubbi sono
invece sulle capacità finanziarie della sua società. Sono indebitati e
troppo piccoli, con un portafoglio clienti esiguo. Se dovessero
chiudere, ci lascerebbero nei pasticci con la manutenzione e i pezzi di
ricambio. Avrebbero bisogno di un partner con soldi e strutture
commerciali adeguate.

Mi avviai verso casa rimuginando sulle considerazioni di Franco.

A casa, Silvia mi chiese di Ernesto.
– Vedrai, ti piacerà. È davvero simpatico.
– Carino?
– Non chiederlo a me. So che piace alle donne, comunque.
– Allora magari me lo faccio!
– Non pensarci neanche! – risposi ridendo.

Alle otto suonò il citofono ed Ernesto si presentò alla mia porta con due bottiglie di gewurtztraminer e un mazzo di fiori.
– Entra Ele, grazie del vino, non dovevi… Ti presento Silvia, la mia futura moglie.
– Piacere! Marco, come ha fatto una vecchia ciabatta come te a intrappolare una bellezza così, non te la meriti di sicuro!
– Giù le mani da Silvia, eh, fa il bravo…

Silvia era davvero impressionante, la prima volta che la vedevi. Aveva
studiato recitazione, poi aveva avuto qualche contratto come modella
senza sfondare. Ora lavorava poco, passava le giornate in palestra e
negli istituti di bellezza e l’unico lavoro per cui ancora la chiamavano
era quello di modella per biancheria intima, ma non più di quattro o
cinque giorni al mese.
– E che bell’appartamento che hai, guarda che terrazza! Hai fatto i soldi, eh?
– Ma no, è in affitto…

Decisi che non era il caso di specificare che la casa era della mia
società, proprio la ABC, che me l’affittava per una cifra simbolica.
Dell’ABC ero il maggior azionista, l’amministratore delegato e ad
interim tenevo anche la direzione delle vendite.

M’era andata bene, dopo l’università.

Durante la cena Ernesto non perse occasione per complimentarsi con
Silvia per la sua bellezza, per la sua cucina, per il suo gusto
nell’arredamento.
Silvia era ovviamente lusingata dalla discreta corte di Ernesto e sorrideva con simpatico interesse.

Stupidamente io ero quasi contento che Silvia avesse perso il suo cattivo umore e si divertisse.
Durante la cena e più ancora nel dopo cena, quando ci servimmo un ottimo
Armagnac, l’atmosfera si scaldò ancora di più. Ernesto ed io
cominciammo a ridere come stupidi ricordano questo o quel professore, le
nottate, le bevute e soprattutto le ragazze che c’eravamo fatti. Mi
ricordai che Ernesto era un donnaiolo, come me del resto, ma che lui
aveva un innegabile vantaggio su di me e su tutti gli altri.

Silvia rideva come una ragazzina alle nostre battute, anche lei su di giri per il vino e l’Armagnac.
– Mi fa ridere essere chiamato “Ele”, dopo tutti questi anni… – A un
certo punto disse Ernesto, dopo che mi ero rivolto a lui con quel
nomignolo.
– Perché, come ti chiami veramente? – Chiese Silvia.
– Ernesto, ma a quel tempo in tanti mi chiamavano Ele.
– Perché?
– Solo un soprannome come un altro, Silvia. – Dissi io prima che Ele potesse rispondere.
– Che cosa vuol dire?
– È la contrazione di “elefante”. – A questo punto Ernesto mi batté sul tempo.
– Elefante? Cosa c’entra?
– Dài, Silvia, non insistere! Lascia perdere, sono cose di tanti anni fa… – dissi, cercando di cambiare discorso.
– Da “Ernesto” a “Elefante” non si capisce come ci si arrivi.
– È per via della proboscide. – disse Ele sorridendo.
– Qualcuno vuole ancora qualcosa da bere? – dissi alzandomi nervosamente.
Ma Silvia non mollava l’osso:
– Proboscide? Quale proboscide?
– Glielo posso dire, Marco? Non ti secca? – mi guardò con un sorriso malizioso, quasi sfidandomi a dire di no.

Mi strinsi nelle spalle. A quel punto avrei fatto una peggior figura a oppormi che a lasciarlo dire.
– I ragazzi della squadra di pallavolo della scuola cominciarono a chiamarmi così dopo avermi visto nudo nelle docce.
– Ancora non vedo il nesso… Oh! …Vuoi dire che… Cioè è per via del tuo…
Quello che voglio dire è che… No? – Silvia aveva spalancato gli occhi
per la sorpresa. Finalmente c’era arrivata.
– Del mio cosa, Silvia? – Ele aveva cominciato a divertirsi e a provocarla.
– Il tuo… quell’affare che è grosso.
– Quale affare, precisamente, Silvia? – Insistette Ele. Ormai ero
irritatissimo, malgrado l’alcol e la bella serata passata fino a quel
momento.
– Il tuo grosso pene! – Disse Silvia ridendo apertamente, ormai.
– Non burlarti di me, Silvia, quale pene! C’è un nome più adatto alla
cosa che ho in mezzo alle gambe! Dillo, Silvia, un pizzico di coraggio!
– Il tuo grosso cazzo! – Silvia era accalorata e si vedeva.
– Esatto! Brava. Ed è davvero grosso.
– Grosso quanto? – Chiese Silvia. Sentii che dovevo intervenire.
– Possiamo cambiare argomento, per favore?
– Non essere ridicolo, Marco. Non c’è argomento più interessante di questo. Quanto grosso, Ele?
– Molto, molto grosso.
– Quanto, Ele, in centimetri?
– Non l’ho mai misurato, Silvia. – Si accomodò meglio sul divano, in
modo che il suo pacco fosse più evidente. – Più grosso di quello di
Marco, comunque.
– Non ci vuole molto, per quello. – disse Silvia ridacchiando.
– Ragazzi, porca puttana, la vogliamo smettere? È imbarazzante per me!

Non sono certo piccolo, io. Lo so benissimo. Quindi Silvia voleva solo
prendermi in giro. Certo, se mi ricordavo bene certi flash di lui nella
doccia, non potevo di sicuro competere con Ele.
– Allora? quanto lungo?
– Non te lo dico.
– Su, non farti pregare. Quanto?
– Un gentiluomo non rivela queste informazioni. – Ele si divertiva un mondo e Silvia s’incaponiva sempre si più.
– Prima di Marco ho avuto un ragazzo che ce l’aveva di venti centimetri. Dentro si sentiva bello grosso!
– E chi sarebbe questo bastardo? – sbottai – Non mi hai mai detto niente!
– Il mio è più grosso. – Disse serafico Ele.
– Quanto più grosso?
– La mia naturale modestia m’impedisce di approfondire questo tema, Silvia… – Sogghignava divertito, il bastardo.
– E allora fammelo vedere!
– Chissà. – I due si comportavano come se io non esistessi.

Chiaramente avevo perso il controllo della situazione. Ero già incazzato
perché il Milan aveva perso ancora nel pomeriggio, ma questa intimità
tra Ele e Silvia mi scatenava una gelosia mai provata.
– Forza, Ele, non essere modesto. Tiralo fuori e fammi dare una bella occhiata.
– Ragazzi, questa cosa ormai sta trascendendo. Piantiamola qui e andiamo
tutti a farci una bella doccia fredda prima di andare a dormire, Ele,
ti accompagno in albergo.
– Hai visto, Ele? Hai fatto incazzare il moralista qui. Tiralo fuori subito e non ne parliamo più.
– Se insisti…
– Insisto.
– Basta, perdio! Piantatela! – Come se non ci fossi. Non mi guardarono neanche.
– Tu mi fai vedere il tuo e io ti faccio vedere le mie! – E cosi dicendo
cercò di togliersi la t-shirt sfilandosela dalla testa. Io mi alzai
cercando di impedirle di farlo, ma Ele mi fermò con un braccio. Io persi
l’equilibrio e finii per cadere vergognosamente sul sedere. Nessuno
fece caso a me e Silvia si slacciò senza ostacoli il reggiseno rimanendo
nella gloria della sua perfetta nudità superiore.
– Allora, giovanotto? Che ne dici delle mie tette? Non male, no? e adesso fammi vedere il tuo, maledizione!

Ele si avvicinò a lei con un sorriso. Nessuno si accorgeva di me e
quando cercai di alzarmi, con un piede, Ele mi ributtò a terra. Poi le
prese i perfetti seni con le mani abbracciandola da dietro.

Avrei potuto fare di tutto.

Avrei potuto prendere un martello nello sgabuzzino e ammazzarli tutt’e due a martellate.

Avrei potuto andarmene sbattendo la porta.

Avrei potuto urlare, minacciare, rompere tutto…

Invece rimasi lì, seduto sul pavimento, a bocca aperta, incredulo per
quanto stava succedendo. Quella era la donna che avrei dovuto sposare
nel giro di tre mesi!

Ele si slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni.
– Vieni, piccola, vieni a vedere la proboscide di Ele l’Elefante!
– Mamma mia! Non stavi scherzando! Non ho mai visto niente del genere! È
una mostruosità! Non riesco neanche a chiudere le mie dita intorno a
lui! È Bellissimo! Osceno e bellissimo! Il doppio di quello di Marco!

Non è vero, figurati! Ma volevi spaccare il capello in quattro, a quel punto?

Rimasi seduto, paralizzato dall’orrore, sperando che le cose non peggiorassero più di così.

Invece peggiorarono.

Share this Post

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>
*
*