Flight Club

di Carol89

Capitolo 1

TAKING OFF

Federica avanzò nell’area riservata del gate e si guardò intorno: pur essendo pulita e moderna, le ricordava un recinto per le pecore. La porta che dava accesso al finger, e quindi all’aereo, era ancora chiusa. La hostess si affacciò brevemente e le ricordò che avrebbe dovuto aspettare lì per pochi minuti, in attesa che aprissero l’imbarco.
I vantaggi di avere un biglietto business, pensò. Passi per prima e aspetti in piedi. Nel recinto business non c’erano sedie: si addossò alla parete ed appoggiò il sedere a un corrimano, lo zaino a terra fra i piedi.
Poco dopo la raggiunsero altri passeggeri con biglietto costoso, come lei. Per primo passò un uomo, un italiano, molto alto e molto grosso di corporatura. Grasso, valutò lei con occhio clinico. Lo aveva riconosciuto subito come italiano, ma non si sapeva spiegare perché: quando era all’estero aveva un dono naturale per individuare subito i connazionali. Soprattutto in città come quella, Dubai, dove le differenze di costumi e di connotati erano evidenti.
Arrivarono altri passeggeri, meno di una decina in tutto. Diversi arabi, un paio di asiatici e un altro italiano: questo attirò maggiormente la sua attenzione, perché era un ragazzo giovane, molto alto, con un bel viso. Era un po’ magro, ma a lei i ragazzi magri non dispiacevano, anzi. Scambiò un’occhiata con lui, di quelle che poi distogli subito lo sguardo, ma intanto entrambi sapete che vi siete guardati, e poi chissà.
L’attesa era noiosa. Il volo, circa sei ore, lo sarebbe stato ancora di più. Federica sbirciò fuori da una finestra: non si vedeva granché, le piste dell’aeroporto e i mezzi al lavoro. Lì a Dubai l’inverno non si percepiva. Niente neve, niente freddo. A casa, in Italia, avrebbe trovato tutt’altro clima: le avevano detto che nevicava, che prometteva un bianco Natale. La neve le piaceva. Era proprio quello che ci voleva per tirarle su il morale, dopo quella deludente spedizione.
Di nuovo il pensiero tornò ai giorni passati. Al torneo andato in vacca. Giulia, la sua partner fissa, storica, a beach volley, era rientrata tre giorni prima. Non si era fermata neanche dieci ore dopo che avevano certificato l’infortunio. Infiammazione ai tendini rotulei: non poteva giocare in quelle condizioni, la sabbia metteva a dura prova le ginocchia. Quindi torneo saltato, e per lei rientro anticipato, così da anticipare le vacanze di Natale. Altro non le importava.
Federica era delusa. Aveva lavorato sodo per quel torneo, doveva essere il culmine della stagione e un buon inizio per la successiva. Doveva significare un cambio di passo: lo sponsor aveva investito molto, un piazzamento sarebbe stato alla loro portata. Eppure Giulia tradiva sempre le aspettative e le promesse che si erano fatte. Stavano provando a fare sul serio, a puntare al professionismo, ma c’era sempre qualcosa che non funzionava: ad un torneo mancava di concentrazione per qualche guaio personale, a quello successivo si infortunava. Gli infortuni capitavano, certo… ma Federica sapeva che l’amica avrebbe potuto fare di più. Conoscendo le proprie debolezze, avrebbe potuto intensificare gli allenamenti, curare di più la dieta. Invece la sua testa era altrove: all’università, al proprio ragazzo, ad un’uscita in più con gli amici.
Avevano sempre avuto un approccio diverso, delle due Federica era la più seria, la più severa e rigorosa anche con se stessa. Ora cominciava a pensare che si trattasse semplicemente di determinazione: per quanto lo dicesse a parole, di fatto quella non era la carriera che Giulia voleva fare. Lo sport non era la sua vita, e non sarebbe mai diventata una professionista.
Aveva sbagliato ad investire su di lei. Adesso si ritrovava sola, con tutto da costruire da zero. E nel beach volley, da sole si costruisce ben poco.

Quelle riflessioni l’avevano fatta ripiombare nell’umore nero degli ultimi tre giorni. Mentre Giulia era rientrata subito, senza giocare nemmeno una partita, lei aveva deciso di fermarsi per seguire il torneo. Lo sponsor aveva ormai pagato tutto, voli, attrezzatura: spiegò che seguire le prime fasi del torneo, studiare le avversarie, poteva essere comunque utile, e concordarono che tre notti d’albergo non avrebbero fatto molta differenza. Così era rimasta, aveva guardato dagli spalti le partite che avrebbero dovuto giocare loro, si era fatta un’idea del livello tecnico e atletico degli altri team. Si era resa conto che avrebbero potuto assolutamente competere e si era rattristata ancor di più.
E adesso era lì, in un aeroporto semivuoto – almeno per gli standard di Dubai – in attesa di un volo semivuoto che l’avrebbe riportata a Milano. In un giorno settimanale, di sera tardi e d’inverno, era poca la gente che viaggiava su quella linea. Durante la stagione turistica e nei fine settimana sarebbero stati molti di più.
Di gente del torneo non aveva visto nessuno. Gli altri passeggeri, in particolare quelli con lei nell’area business, erano tutti uomini di affari. Anche per questo aveva notato quel ragazzo giovane: era vestito bene, anche se non in giacca e cravatta, probabilmente era anche lui lì per ragioni di lavoro.
Federica sospirò piano e si rassegnò ad attendere ancora per alcuni minuti.

***

A pochi passi da lei, intanto, Gianluca Mignoli, imprenditore bresciano di cinquant’anni, aspettava a sua volta l’apertura delle porte del gate, con la propria ventiquattr’ore in spalla. Si era fermato a Dubai un paio di giorni più del necessario: sbrigati gli incontri di lavoro, con un collega che era fisso lì, si erano divertiti in un paio di casinò e poi si erano presi una puttana. Unire l’utile al dilettevole, una buona regola di vita.
Rientrare con voli infrasettimanali costava anche meno, e poteva permettersi la business senza problemi. Così risparmiava pure sul biglietto ed era come se le spese degli ultimi giorni non fossero quasi esistite. Non che gli importasse granché: spendere per divertirsi era cosa buona e giusta, il modo migliore per impiegare i guadagni che entravano allegramente dalla sua azienda di famiglia.
Era quindi di buon umore quella sera, e lo era diventato ancor di più quando, entrato nell’are VIP del gate, aveva posato gli occhi su quella ragazza che viaggiava sul suo stesso aereo. Evidentemente italiana, alta – molto alta! Quasi quanto lui, che era un omone grande e grosso – chiaramente una sportiva, da subito un piacere per gli occhi. Si era sistemato in posizione furba e le aveva lanciato diverse lunghe occhiate in pochi minuti, registrandone con cura l’aspetto fisico, che era quello che gli importava. Lunghi capelli mori, mossi e lucidi. Viso un po’ affilato e naso sottile e un po’ grosso, l’unico difetto evidente: ma non gli importava poi molto. In compenso aveva due occhi castani grandi e brillanti, da cerbiatta. Pelle chiara, fisico longilineo e asciutto. Quello che lo colpì da subito furono le gambe: la ragazza indossava infatti dei fuseaux neri, aderenti, di una marca sportiva, che disegnavano con cura le sue lunghissime gambe e i muscoli scolpiti che le addobbavano. Muscolatura atletica, lunga ed elegante: da sportiva, indubbiamente. Una cosa che gli piaceva molto.
Era andato in fissa da subito per quella ragazza, sapeva che gli avrebbe allietato il viaggio. Il primo punto era chiaro: valutarle il culo. Rimase in attesa per qualche minuto, fino a che giunse una hostess ad aprire loro la porta di accesso al finger. A quel punto scelse di rimanere fermo dov’era, e aspettare che la ragazza si muovesse prima di lui.
Lei probabilmente se ne accorse. Si accorse del suo interesse. Ma non poteva certo rimanere ferma là dov’era, e aveva poi scelto lei di vestirsi così. Quindi quando si raddrizzò e si avviò lungo il finger, lui poté guardarsela sfilare davanti, e le diede una bella, accurata occhiata al culo, fasciato dai calzoni aderenti.
Gran culo. Culo alto, sodo, piccolo e muscoloso. Oh sì, doveva essere una sportiva. Oh sì, meritava tutta la sua attenzione.

***

Federica si avviò lungo il tunnel che portava all’aereo, sfilando davanti all’uomo alto e grasso che la guardava insistentemente. Per una volta, si maledisse per l’abitudine a vestirsi sempre con gli indumenti sportivi. Ma i leggings erano comodi, era come non averli: per un viaggio in aereo erano il massimo. Certo, era come non averli anche da un punto di vista visivo: le fasciavano gambe e culo come una seconda pelle. Passando davanti a quell’italiota – l’aveva subito definito così – praticamente gli mostrava il culo. E quello non avrebbe perso occasione di guardarglielo.
Beh, in fondo non era un gran problema. Che guardasse pure. L’interesse degli uomini non le era mai dispiaciuto, e ci era piuttosto abituata. Sul campo di beach volley non era certo particolarmente vestita, e sapeva bene che una certa parte del pubblico cercava proprio quello: corpi femminili in piena forma. Lei ce l’aveva, la forma, era frutto di grandi sacrifici, e ne andava orgogliosa. Quindi le piaceva mostrarla.
Avvicinandosi al portellone d’ingresso dell’aereo la fila di persone rallentò e lei si trovò a fermarsi un attimo, proprio accanto al ragazzo alto che aveva notato poco prima. Era davvero alto, diversi centimetri più di lei. Profumava di buono ed era vestito bene, con cura. Vide da vicino la sua barba corta, ordinata, e i capelli castano chiari, quasi biondi.
Erano fermi entrambi in attesa. Quando fu il loro turno di entrare, lui le sorrise gentilmente e le fece cenno di passare per prima. Non parlò, forse perché non sapeva che lingua usare: lei però era certa che lui fosse italiano.
Accettò la cortesia e passò davanti. Anche in questo caso significava fargli vedere il culo. Ma questa volta lo fece volentieri: che c’era di male, aveva un bel culo. Era uno strumento di seduzione come un altro.
Salì quindi sull’aereo davanti a lui, consentendogli di dare una bella occhiata al suo posteriore (chissà se me lo sta guardando, si chiese), e presentò il proprio biglietto alla hostess che l’accolse a bordo. Prima di dirigersi verso il suo posto, si fermò un attimo e si girò. Anche il ragazzo si era fatto controllare il biglietto. Quando si fermò di fronte a lei, un po’ sorpreso di trovarla ferma, Federica gli si rivolse con un breve sorriso:
– Sei italiano, vero?
– Sì… anche tu? – Domanda stupida, a quel punto, ma Federica la apprezzò. Le piaceva che fosse leggermente imbarazzato.
– Sì, di Varese. Riconosco subito quando uno è italiano.
– Io sono di Milano…
Federica non perse altro tempo. Aveva fatto il primo passo, era quello che voleva. Adesso sarebbe toccato a lui fare il prossimo, eventualmente. Lei si diresse al proprio posto, un bel posto spazioso con sedile reclinabile. Sedette e si organizzò per il viaggio, godendosi i piaceri del posto in business.
Quando ebbe sistemato le proprie cose, si stese leggermente in attesa del decollo. Aveva preso il cellulare e sbrogliò le cuffiette, e intanto si guardò intorno. Il ragazzo era seduto dal lato opposto al suo, qualche metro più avanti. Lanciò un’occhiata indietro: l’uomo grasso, l’italiota, era anche lui sul lato opposto, qualche sedile più indietro. Quando lei lo guardò, lui era già lì che la fissava, e le sorrise. Lei fece finta di nulla e tornò a sedersi composta. Si mise le cuffiette nelle orecchie e chiuse gli occhi, abbandonandosi alla musica.

Aprì gli occhi sentendo delle vibrazioni. Si era assopita. L’aereo era in movimento a terra, stava curvando. Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino: probabilmente stavano per imboccare la pista di decollo.
Sentì la voce dell’altoparlante che diceva qualcosa. Si tolse di malavoglia una cuffia per ascoltare: ah già, lo schienale da raddrizzare per il decollo. Eseguì l’ordine, e poco dopo passò la hostess a controllare che avesse la cintura allacciata. Le sorrise dolcemente, con il sorriso professionale, e lei ricambiò senza troppo entusiasmo.
Seduti in business, il decollo era quasi del tutto silenzioso. I motori si sentivano poco o nulla. In compenso l’accelerazione verticale si sentiva di più, ad ogni spostamento del muso: ma quello le piaceva, era come essere sulle montagne russe.
Attese che l’aereo arrivasse in quota, intanto continuò ad ascoltare musica. Lanciò un paio di occhiate al ragazzo di Milano: aveva in mano un Kindle e stava leggendo. Considerò anche lei la possibilità di leggere, ma era stanca e scazzata. Meglio dormire.
Appena possibile, reclinò di nuovo lo schienale e tornò a chiudere gli occhi, cullata dalla musica. In pochi minuti si addormentò.

Si svegliò di nuovo più tardi. Questa volta a svegliarla era stato il profumo: profumo di cibo. Guardò l’ora sul cellulare: aveva dormito più di un’ora. Avrebbe dormito ancora, ma aveva anche fame, ed era il caso di approfittare della cena.
Raddrizzò il sedile, si tolse le cuffie e preparò il tavolino. Quando giunsero e le proposero tre diversi menu, scelse quello con un sandwich di pollo: avrebbe lasciato da parte mezzo panino e si sarebbe concentrata sulle proteine.
Mentre mangiava accese il monitor davanti a sé e curiosò fra i contenuti. Diede un’occhiata alla mappa satellitare con la posizione dell’aereo. Viaggiavano a oltre undicimila metri di altezza e ottocento chilometri all’ora: erano numeri che la impressionavano e la eccitavano sempre. Diede un’occhiata fuori dal finestrino, ma era tutto buio, non si vedeva praticamente nulla. Comunque c’erano undici chilometri di vuoto sotto di lei, in quel momento. Mica male.
Scorse i contenuti video. C’erano diversi film usciti recentemente, almeno un paio li avrebbe visti volentieri, ma non era certa di riuscire a rimanere sveglia. Appena finì di mangiare, infatti, le tornò sonno. Non era tardi, ma sarebbe stata notte fonda all’arrivo a Milano, e ancora la aspettava un bel tratto in macchina con suo papà fino a casa. Meglio portarsi avanti e dormire. Il sonno era importante anche per il fisico.
Prima di tornare a stendersi, però, aveva una necessità fisiologica da espletare: la vescica reclamava attenzione. Spostò un po’ di oggetti, si liberò della cintura e si alzò.
Camminare in mezzo al corridoio era quasi come essere in passerella – esperienza che non aveva ancora mai provato, ma che un giorno le sarebbe piaciuto esplorare. Di nuovo si trovò a fare i conti con la scelta di indossare i leggings: non aveva dubbi che l’italiota dietro di lei stesse seguendo ogni suo passo, mentre procedeva verso prua, dove erano i bagni. Sfilò accanto al ragazzo di Milano, la cui testa, da seduto, le arrivava all’altezza del fianco.
Entrò in bagno e riuscì senza troppa difficoltà, nonostante lo spazio ridotto, a calarsi calzoni e slip e liberare la vescica. Si asciugò con cura e si sciacquò con un po’ d’acqua, come le piaceva fare, quindi si rivestì e uscì.
Prima di percorrere il corridoio al contrario si fermò un attimo, in piedi. Il ragazzo alzò brevemente gli occhi, le guardò le lunghe gambe, poi alzò ancora gli occhi e i loro sguardi si incrociarono. Lei sorrise, fece qualche passo e si fermò un attimo accanto al suo posto, appoggiandosi allo schienale davanti al suo.
– Ci ho provato anch’io a leggere, ma ho troppo sonno. L’aereo mi mette sempre sonno! – disse, tanto per dire qualcosa.
– Ah… sì, anche a me in effetti – rispose lui, impacciato. – Però è presto…
– Sì ma quando arriviamo sarà notte fonda! Io poi ho ancora un pezzo di macchina per arrivare a casa.
– Eh già… io ci metto meno, una mezz’oretta…
– Eh, beato te. Buona lettura – gli augurò.
– Grazie… buona dormita!
Si sorrisero e Federica avanzò verso il proprio posto. Intanto alzò gli occhi e vide l’uomo grasso: tanto per cambiare la stava fissando. Non la guardava neanche in faccia, le fissava apertamente le gambe.
Senza pensarci, su due piedi, decise di divertirsi un po’. Mentre percorreva i pochi passi che la separavano dal suo sedile si portò una mano su una coscia, poi la alzò leggermente e se la mise proprio sull’inguine: una dolce carezza, fatta proprio sotto gli occhi dell’italiota.
Vide l’espressione dell’uomo cambiare, il suo sorriso allargarsi, mentre gli occhi seguivano attenti il movimento della sua mano birichina. Intanto lei giunse al suo posto, si girò di profilo e si chinò a raccogliere le cuffie dal sedile, sporgendo indietro il sedere.
Prima di sedersi lo guardò ancora in volto e questa volta i loro sguardi si incrociarono. Lui sorrideva soddisfatto ed eccitato. Lei aveva un sorriso enigmatico, appena accennato.
Sedette, scrollando mentalmente le spalle. Che affamato.

Si rimise la musica in cuffia, abbassò lo schienale e si coprì con la copertina fornita dalla compagnia aerea. Anche il cuscino che davano era soffice: in pochi minuti si addormentò profondamente, cullata dall’aeroplano in volo.

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