Giulia

Di Dicky1990

Puoi contattare l’autore a dicky199090@hotmail.com

Conobbi Giulia sui banchi di scuola. Quando le diedi il primo bacio, nel buio di un cinema, avevamo tutti e due 16 anni. 1.75, mora, fisico per costituzione atletico e una quarta di reggiseno, per me era la ragazza piú bella del mondo. Ancora ricordo il giorno in cui andammo a giocare a tennis e, dopo essersi cambiata, arrivò sul campo in terra battuta con un gonnellino bianco. Fu allora che ne rimasi stregato. Le sue gambe erano fantastiche. Lunghissime. Perfette. Per non parlare del suo seno che riempiva la maglietta della Lacoste. E il suo sorriso… il sorriso di chi sapeva di aver già vinto.

Dopo una corte spietata durata settimane, Giulia divenne la mia ragazza. Ricordo i pomeriggi passati al parco a scambiarci baci e carezze, le ore al cinema senza guardare i film, e le lunghissime telefonate serali.
Ricordo la prima volta che presi il coraggio e le infilaii una mano nei jeans. Le sue gambe dapprima rigide che man mano diventavano più disponibili e l’odore che lasciò sulle mie dita quando ebbi finito.
Con il passare del tempo diventai bravissimo a farla godere. Stesa sul letto, con gli occhi socchiusi, Giulia si abbandonava completamente. Estasiato la guardavo mentre il suo corpo rispondeva alle mie dita che, muovendosi dentro di lei, cercavano di mandarla in estasi. Imparai a leggere le sue espressioni, i movimenti del suo corpo, il ritmo del suo respiro. Come un rabdomante cercavo conferme ai miei movimenti osservando il serrarsi delle sue labbra o il pulsare delle vene sul suo collo. E quando ero sicuro di aver coronato la mia ricerca, quando al mio tocco la sua schiena si inarcava o le sue gambe avevano un tremito, le mie dita acquistavano sicurezza, velocità, fino a quando un gesto della sua mano o il rossore del viso mi facevano capire che era arrivato il momento di fermarmi.

Molte volte, mentre la masturbavo e godevo del suo piacere, venivo accanto a lei. Stremato dal desiderio e dalla vista di quello che facevo, non resistevo e mi liberavo senza bisogno di toccarmi o essere toccato.
Altre volte era lei, ancora calda per l’orgasmo raggiunto, a cercare il mio membro. Allora, tra le sue mani affusolate, ero io ad abbandonarmi in attesa di che lei ponesse fine a quella fantastica agonia.

Andammo avanti così per vari mesi fino a quando non cominciai a supplicarla di fare l’amore. Farla godere con le mani non mi bastava più. Volevo possederla, entrare con il mio corpo nel suo per affermare senza equivoci che lei era mia.
Giulia però non voleva. Il suo amore per me e per il sesso sembrava incontrare un limite invalicabile nella sua verginità.
Questo, insieme alla mia gelosia, diventarono motivi di liti e discussioni continue.

La bellezza di Giulia ovviamente non sfuggiva agli altri. Quando uscivamo e lei metteva una gonna, ero certo che tutti desiderassero quelle gambe. Qualunque cosa lei indossasse, io la giudicavo troppo appariscente. Ogni camicetta, per quanto castigata, mi sembrava esaltare il suo seno. Vedevo gli sguardi degli estranei posarsi sulla sua pelle nuda e cercare di insinuarsi sotto la stoffa del reggiseno alla ricerca dei capezzoli. Per leccarli, per morderli, per far sí che fossero la chiave per aprire altre intimità.

Se la gelosia mi accecava quando ero con lei, le cose peggioravano quando non lo ero. Sapere che lei era in giro da sola o con le sue amiche mi faceva impazzire. Nella mia testa, qualsiasi occasione poteva essere quella giusta per tradirmi. Il pensiero che altre dita potessero sfiorarla e altri occhi potessero guardarla mentre godeva mi rendeva pazzo.

Trascorsero cosí mesi e poi anni, in cui la mia folle gelosia e le mie scenate erano mitigate solo dalla mia dedizione al suo piacere.
Ero pronto a soddisfare qualunque suo capriccio pur di godere dello spettacolo dei suoi orgasmi sotto le mie mani. Con il tempo avevo affinato la mia tecnica. Avevo imparato ad accrescere il suo godimento torturandola nell’attesa. Spesso dopo averla immobilizzata e bendata, la penetravo con gli oggetti piú disparati, mentre, con il suo consenso, la fotografavo o la riprendevo. Il tempo impiegato per farle raggiungere il culmine del piacere era andato aumentando sempre di più, di pari passo con l’intensità dei suoi orgasmi. Per quanto mi riguardava, ormai venivo senza alcun suo intervento, lei quasi non mi toccava più. Ma a me andava bene cosí, anche l’intensità dei miei orgasmi era aumentata all, amplificarsi dei suoi.

Una volta iniziata l’università, Giulia cominciò ad uscire con una sua collega di studi, Anna. Era una biondina niente male, anche se nulla a che vedere con Giulia. Alcune volte, mentre Giulia era stesa sul letto con le braccia e le gambe aperte, costretta da sottili cordicelle e gli occhi bendati da una mascherina di seta, avevo cercato di aumentare la sua eccitazione descrivendole un amplesso tra lei e la sua amica. Giulia era poco attratta dal genere femminile, eppure ero convinto che per Anna avrebbe fatto un’eccezione.

Dall’uscirci una volta ogni tanto, Giulia passò ad uscirci un paio di volte a settimana, fino a quando non mi chiese di uscirci anche il venerdì o il sabato sera. Fu in occasione di un loro appuntamento al sabato sera che decisi di appostarmi sotto casa di Giulia. Sapevo che in quelle occasioni Anna la passava a prendere con la sua cinquecento e cosí avrebbe fatto anche quella sera.

Attesi che arrivasse sotto casa di Giulia e con il cuore in gola aspettai che scendesse. Ricordo il dolore nel vederla aprire il portone. Era bellissima. La gonna corta e i tacchi alti erano accompagnati da calze scure. Sopra, un giacchetto corto di montone, mi impediva di vedere il resto del suo abbigliamento.
L’auto partí e io dietro di lei a distanza di sicurezza. Anna guidò per un bel tratto fino a raggiungere il locale in Prati dove Giulia mi aveva detto che sarebbero andate. Non fu facile non farmi scoprire mentre loro, una volta parcheggiato, raggiungevano a piedi l’ingresso. Qui il mio stomaco accusò un dolore come se fosse stato colpito da un pugno. Davanti al locale, ad attenderle, c’erano due ragazzi. Si salutarano baciandosi sulle guance e quindi entrarono.

Le due ore che passai nell’auto in attesa che uscissero furono una tortura mai provata prima, ma niente rispetto a quello che sarebbe successo dopo. Quando infatti i quattro uscirono mi resi conto che Giulia ed uno dei due ragazzi si stavano incamminando da soli verso un’altra auto. Il ragazzo aprí la portiera di una macchina sportiva e Giulia entrò regalandogli la visione delle sue gambe mentre prendeva posto sul sedile. Nella mia piccola utilitaria oltre al dolore provocato dalla gelosia avvertii un senso di rabbia.

L’auto partí e faticai non poco per stargli dietro. Ovviamente non potevo sentire cosa si dicevano ma la mia immaginazione mi permetteva di essere con loro dentro l’abitacolo. Sicuramente lui, mentre guidava, le stava accarezzando il ginocchio. Giulia inizialmente aveva opposto qualche resistenza ma nel momento in cui aveva sentito il calore crescere tra le sue gambe aveva iniziato ad arrendersi. Lui allora si era fatto piú audace e dal ginocchio era salito un pò piú sú fino a spostare la gonna e scoprire l’orlo delle autoreggenti. A quel punto aveva cominciato a giocare con il limite tra l’elastico delle calze e la pelle nuda di lei che nel frattempo, senza rendersene conto, aveva allargato leggermente le gambe. L’auto viaggiava e io, con gli occhi lucidi, bruciavo i semafori per non perderli. Non riflettevo sul percorso, continuavo solo a pensare a quello che stava succedendo lí dentro. Giulia, ormai eccitata per le carezze, si era leggermente sbottonata la camicetta facendo intravedere a lui quel reggiseno nero che io adoravo. Lui, incoraggiato da questo ulteriore segnale, era risalito lungo la coscia e con le dite aveva sentito che le mutandine di Giulia erano completamente bagnate. Vidi gli umori di Giulia incontrare la pelle scura del sedile ed impregnarla. Mentre lui teneva gli occhi sulla strada, le massaggiava da fuori il sesso ormai pronto. Conoscevo bene Giulia, a quel punto lei, con un dito, aveva scansato la stoffa ricamata delle mutandine per lasciare libero il suo nuovo amante di sentire le sue labbra bagnate. Aveva tremato nel momento in cui lui l’aveva accarezzata sulla pelle nuda e le aveva scostato i lembi per tuffarsi dentro. Fatto questo, aveva portato le dita al naso per sentire il suo odore, quindi le aveva bagnate nella bocca ed era tornato tra le gambe di Giulia.

Mentre l’auto correva nella notte, lui continuava un ditalino che era solo l’antipasto. Stava sicuramente cercando un posto appartato dove fermarsi.

Avrebbero parcheggiato nella penombra, avrebbe abbassato il sedile di Giulia gustando finalmente lo spettacolo dei suoi seni. Avrebbe cominciato a succhiarle avidamente prima un capezzolo e poi l’altro mentre lei avrebbe cercato freneticamente di sbottonargli i pantaloni avvertendo cosí la sua erezione.A questo punto lui avrebbe alzato la gonna e tolto le mutandine, in maniera da poter osservare la sua carne bagnata e vogliisa.

Una volta abbassatisi i boxer le sarebbe montato sopra e l’avrebbe penetrata con infinita lentezza. La voglia di Giulia di essere finalmente sverginata le avrebbe fatto vincere la paura del dolore e anzi, si sarebbe resa conto di quanto la stimolazione dell’organo maschile fosse appagante. Lui l’avrebbe presa così, sul sedile di una macchina, spingendosi dentro si lei sempre piú velocemente incitato dall’ansimare di Giulia. Forse le sarebbe venuto addirittura dentro, avrebbe svuotato tutto il suo seme nel suo ventre vergine, sporcandola per sempre.

A questo pensiero, per un attimo, pensai di accelerare e tamponarli. Non lo feci solo perché mi resi conto che dopo un bel giro stavamo per imboccare il vialone dietro casa di Giulia. L’auto sportiva svoltò a destra e all’altezza del civico 136 si fermò. Giulia scese praticamente subito e quando fu sparita nel portone l’auto ripartí.

Cosa sia successo in quell’auto quella sera non l’ho mai saputo perché Giulia mi lasciò il giorno dopo. Mi disse che la sera prima si era accorta che io l’avevo seguita mentre era in auto con Anna e che ne aveva abbastanza di me e della mia gelosia. Me lo disse con un tono calmo ma deciso e io potei solo rassegnarmi ad averla persa per sempre.

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