Il gigante e la bambina


Di Pink_

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La grande finestra di vetro inquadra, come un poster, una montagna innevata nella notte. Fuori si gela. Dentro c’è un camino acceso che scricchiola confortevole.
Sul grande divano scuro ci sono loro due.
Lei ha quasi trent’anni, le guance rosa, coperte di piccole lentiggini. Un maglione aderente con decorazioni natalizie le disegna il corpo minuto, dalle forme delicate, gli occhi, parzialmente nascosti da una frangetta di capelli ramati, sono incantati dalla luce viva del fuoco, l’unica fonte d’illuminazione della stanza.
Lui ha già molti inverni in fondo agli occhi ma i suoi anni li porta bene, il fisico robusto, forte, una barba folta, appena macchiata di bianco, gli da l’aria del classico uomo di montagna.
L’uomo si alza dal divano e va verso il camino, si accoscia e mette un altro ciocco di legno nel fuoco. «Hai freddo?» le chiede senza guardarla.
«Sto bene – risponde la ragazza – ma manca qualcosa.. non hai un po’ di musica?».
Lui si alza in piedi e si spolvera le mani, battendole una sull’altra «Il mio stereo si è rotto, quassù non saprei neanche a chi farlo riparare».
«Sempre il solito eremita! – dice lei scuotendo appena la testa – ci penso io dai».
La ragazza fruga nella borsa e tira fuori il suo smartphone, lui la guarda con la faccia di uno che ha appena visto il demonio «Ci fai anche il caffè con quel coso?».
Lei fa saltellare il pollice sullo schermo finché quel “coso” inizia a fischiettare dolcemente, una musica romantica che scioglie d’improvviso il silenzio della stanza.
«Te la ricordi questa canzone? – gli chiede lei dopo un po’, lui non risponde – Mi piaceva tanto questa canzone.. mi fa pensare a un sacco di cose».
«A quei tempi c’erano i dischi veri, non quelle scatoline infernali».
«Non ti farebbe male, ogni tanto, fare un salto nella civiltà.. da quant’è che non lasci queste montagne?».
«Ho perso il conto – dice lui guardando la finestra – si sta bene quassù, senza rumori, senza rompiscatole».
«Non ti senti mai solo?».
«Per fortuna ci sei tu che vieni a trovarmi».
«Ogni volta devo farmi un sacco di chilometri, su delle strade impossibili!».
«Puoi anche non venire più se vuoi» dice l’uomo improvvisamente serio, gli occhi fissi nel bianco della montagna.
Lei lo guarda e si mette a ridere, poi si stiracchia su quel vecchio divano «Abbiamo almeno qualcosa da bere?».
L’uomo si ridesta e si guarda intorno, cercando qualcosa «Quello non manca mai – dice dirigendosi verso un mobile con le ante di vetro – Ma non so se è roba adatta a una come te».
Poi prende una bottiglia senza etichetta, piena per tre quarti di un liquido ambrato e torna verso il divano.
«Guarda che non sono più una bambina» dice lei sollevando le sopracciglia con sufficienza.
«Con quei capelli non si direbbe – le fa lui mentre versa la bevanda in un paio di bicchieri massicci – questa è roba forte, adatta ai vecchi eremiti».
«Non ti piacciono le mie trecce?!».
«Non ho detto questo».
«Questo posto ti sta trasformando in un orso» si lamenta lei mentre prende uno dei bicchieri.
«Ti stanno bene, sei.. ordinata, ma sembri una ragazzina, forse volevi farmi sentire ancora più vecchio».
Lei sbuffa «Sei proprio un orso brontolone.. cin cin». Le dita delicate con le unghie laccate di rosso alzano il bicchiere facendolo tintinnare contro quello dell’uomo, stretto da una mano grande, legnosa, gli occhi verdi si fondono negli occhi verdi.
«Salute» risponde lui.
La ragazza beve un sorso e fa una piccola smorfia mostrando i denti bianchi «Fortino.. ma buono, avevo una sete!».
«Questo non ti aiuta mica se hai sete, potrei prenderti un bicchiere di latte caldo» dice lui sorridendo.
Lei coglie al volo la sfida e si scola tutto il resto d’un fiato trattenendo a fatica un colpo di tosse «Me ne versi ancora?».
L’uomo svuota il suo bicchiere e poi si siede, riempiendoli di nuovo.
«Inizia a fare caldo qui.. ti dispiace se mi tolgo le scarpe?». Lui non risponde, non ce n’è bisogno, lei tira giù la lampo degli stivali scuri e li abbandona sul tappeto stendendo le gambe sopra al tavolino di legno.
Lui le fissa i piedi, coperti da calzettoni rossi con rinforzi bianchi sul tallone e sulle dita, poi sgrana appena gli occhi.
«Hai da ridire anche sui miei bellissimi calzini?».
«Assolutamente no.. sono proprio dei gran bei calzerotti da ragazzina».
I due scoppiano a ridere, l’alcol pare distendere il clima teso della piccola baita di montagna.
Lei muove i piedi stirandoli e dice «Ho freddo ai piedi.. e poi sono bellissimi».
«Te li ha regalati il tuo fidanzato?».
Lei sorride e non risponde, cambia discorso «Posso andare un attimo in bagno?».
«Puoi fare quello che vuoi».
«Lo so».
Lei si alza ancheggiando coi pantaloni aderenti di velluto che le evidenziano il fondoschiena rotondo, come fosse un cuore rovesciato, prende il bicchiere e lo scola tutto di nuovo «Me ne prepari un altro? Arrivo subito» poi sparisce dietro la porta del bagno.
L’uomo adesso è solo. Si guarda attorno. Quella casa che è il suo rifugio, da tanti anni ormai. Quella stanza che adesso sembra più buia, senza di lei. Si stende sullo schienale del divano e punta gli occhi sul soffitto, perso in qualche freddo pensiero.
Sospira, abbassa lo sguardo e vede gli stivali di quella ragazzina, abbandonati sul tappeto. Seguendo uno strano e insensato istinto li raccoglie e li mette uno di fianco all’altro, ordinati accanto al divano.
Un rumore lo riporta a terra, guarda verso il bagno e ciò che vede lo incenerisce.
Lei è sulla porta, leggermente sollevata sulle punte dei piedi, la gamba sinistra davanti alla destra, come una modella.
Le braccia aperte, le mani che si tengono al telaio di legno che le fa da cornice.
Ha le sue calzette ai piedi che arrivano tese fino alle ginocchia.
Quelle trecce sbarazzine, rosse.
E nient’altro.
Nuda e sorridente, come fosse la cosa più normale del mondo.
Un’immagine che sarebbe perfetta per il mese di dicembre di qualsiasi calendario erotico.
Un angelo. Che brucia più del fuoco.
Quella splendida visione si muove adesso, a passi lenti, arriva al centro della stanza e rimane in piedi proprio davanti a quello straccio di uomo, con le mani sui fianchi e il petto leggermente in fuori.
Lei vuole che lui la guardi.
Il corpo liscio che brilla, proprio accanto alle fiamme del camino.
Lui non riesce a fare altro che riempirsi gli occhi di quel dolcissimo inferno.
Qualcosa lo morde, dentro. Qualcosa che gli fa male.
I seni bianchi appesi al niente come fossero leggerissimi, piccoli frutti rotondi che si gonfiano insieme al suo respiro. La silhouette stretta dei fianchi, parentesi tonde che si danno la schiena e incorniciano il ventre delicato per poi stendersi sulle curve morbide dei glutei. Le cosce tornite che si sfiorano, lì dove la carne si fa più rosa, proprio sotto il piccolo ombelico, in quel taglio verticale di labbra piccole e succose. Chiudi gli occhi.
Lei si volta.
Con lentezza maledetta.
Piroetta il corpo e gli da la schiena. Gli lancia un’occhiata. Si assicura che lui stia guardando.
Sì china in avanti, mantenendo le gambe dritte, con una piega elegante da ballerina.
Sempre più piano, finché..
..finché le natiche sode si aprono appena, intima natura di donna che si svela a un niente dal volto scolpito dell’uomo. Chiudi gli occhi, chiudi gli occhi. L’oscena meraviglia accecante di carni grinzose e arrossate, nascoste allo sguardo del mondo ed esposte, adesso, solo per lui. Chiudi gli occhi.
Ma non li chiude.
Non può.
Respiro pesante, respiro da animale ferito.
Lei afferra i bicchieri, si rialza e si gira, di nuovo.
«Prego» gli dice offrendogli da bere.
Poi si siede. Sul tavolino. Spalanca le cosce con estrema naturalezza e si lascia guardare.
Lo sguardo dell’uomo si abbassa lentamente, sconfitto dal peso dello stupore.
Ranunculus Glacialis.
Fiore umido e profumato, dischiuso nel ghiaccio crepato dei suoi occhi da vecchio.
«Sei sorpreso?» gli chiede l’angelo all’improvviso.
«Non me l’aspettavo.. io non.. non sapevo che tu..».
«Dovresti saperlo.. che le ragazzine non hanno peli fra le cosce».
Lui deglutisce, la voce si fa più profonda.
«Fai sempre così con gli uomini?».
«Così come?» chiede lei con finto stupore.
«Così..» dice lui alludendo alla sua posa.
Lei oscilla lentamente le gambe, i talloni appena sollevati da terra.
«Sai.. ho imparato che.. per avere dagli uomini quello che voglio.. devo prima incantarli, mostrandogli quello che vogliono loro».
«Ma perché sei venuta quassù? Proprio oggi..».
«Lo sai il perché».
«Dovresti startene con gli altri.. altri ragazzini come te..».
Al sentire quella parola lei gli punta gli occhi contro, l’aria sfacciata della sfida. Chiude le gambe, si alza senza fretta e va a sedersi sul divano. Il fianco contro la spalliera, le gambe raccolte sotto ai glutei, la testa poggiata al palmo aperto della mano. Poi beve un altro sorso dal bicchiere e lascia schioccare la lingua sul palato «Hai ragione.. questa roba non è dissetante».
«Vuoi che vada a prenderti il latte?».
«Preferirei altro».
«Che cosa?» chiede lui col cuore che accelera.
Lei si porta una mano alla bocca e inizia a torturare maliziosamente un dito coi denti, senza smettere di guardarlo. I capezzoli sembrano stringersi, come increspati dall’eccitazione, diventano duri e sempre più evidenti. Gli occhi ora le brillano come smeraldi annegati in quel liquore che forse era davvero troppo forte. Ride. Fa un lungo sospiro, come per prendere la rincorsa.
Poi si muove.
Le mani si posano sul divano e i piedi scivolano indietro facendole assumere una posizione felina.
«Vorrei..» dice mentre si avvicina lentamente all’uomo.
«Vorrei.. – miagola con la voce rotta – ..un po’ della tua sborra calda».
Sì, gli dice proprio così.
Poi poggia le mani bianche sui pantaloni scuri dell’uomo, proprio sulle cosce ed inizia ad accarezzarle per saggiarne la muscolatura.
Le stringe coi palmi e si muove fra le gambe continuando a sorridere, un movimento continuo che ben presto si concentra sul pube, ad accarezzare e stringere la sua evidente erezione.
Le dita afferrano la fibbia e la slacciano, facendo scorrere la cintura di cuoio.
I bottoni saltano uno dopo l’altro, scoprendo lo slip gonfio.
Alza di nuovo gli occhi per guardarlo mentre si passa la lingua sulle labbra.
«Posso?» chiede, non avendo nessuna voglia di aspettare risposta.
Afferra il bordo scuro degli slip e lo abbassa di colpo, qualcosa schizza fuori come una molla, lei lo guarda «Proprio come lo immaginavo – gli dice mentre si avvicina – grande e grosso».
La testa che scende sempre più in basso fino ad alitarci sopra con la bocca socchiusa, poi gli prende una mano e se la porta sulla guancia, per farsi accarezzare.
«Per capire com’è fatto un uomo fra le gambe bisogna guardargli le mani.. e tu hai sempre avuto delle bellissime mani» gli dice, poi tira fuori la lingua e inizia a leccargli il palmo ruvido, come una gattina. L’altra mano si sposta lentamente e afferra il sesso, dita delicate che quasi non riescono a circondare quel palo di carne, dita furtive che si muovono e iniziano a masturbarlo dolcemente.
Lui ha lo stomaco annodato, la pancia gli brucia, le gambe tremano. Un uomo di ghiaccio che si scioglie e cola tutte le sue inutili resistenze. Lei apre un bacio intorno al suo dito medio, lo assapora dolcemente, facendolo scorrere fra le labbra, poi prende la sua mano e se la mette in testa, torna a guardarlo fra le gambe «Mi piace.. il tuo cazzo.. lo voglio.. il tuo cazzo» e se lo infila tutto in bocca. La mano sulla testa si irrigidisce e segue il movimento, poi preme con forza, lui chiude gli occhi e la spinge giù, ancora più giù. Si lascia succhiare da quella piccola bocca golosa, le labbra rosse attorno alla pelle tesa della sua erezione.
Sei solo una ragazzina, lui pensa, e continua a spingerle la testa.
Poi la sua mano scivola, percorre la schiena liscia, arcuata e raggiunge il culo rotondo di quella gatta affamata, le dita fra i glutei, lì dove tutto è più caldo. Lei è bagnata, lui l’accarezza con quelle grosse mani finché il dito medio si incunea e la penetra fino in fondo. Lei fa un verso con la bocca piena come a dire “finalmente”, inizia a muoversi con più foga, il corpo esile che sussulta ogni volta che lui le infila il dito nella carne fradicia.
Si stimolano a vicenda, seguendo lo stesso ritmo, diventano un unico corpo straziato dalla meccanica del piacere, lei lo tira fuori dalla bocca e inizia a disegnargli la cappella con la punta della lingua, poi di nuovo dentro, fino in gola, gli stringe i denti intorno al cazzo, gli fa male e lui tira fuori il dito per mollarle un sonoro ceffone sul culo bianco. Uno, due, tre schiaffi rabbiosi che le fanno male ma sembrano incredibilmente eccitarla di più.
Basta, lui pensa, basta adesso, afferra quelle assurde trecce e tira su la testa di quella sgualdrinella incosciente, lei ghigna con la faccia da scema, la bocca umida di saliva «Mi vuoi fare male?», gli dice e non la smette di ridere «Mi vuoi.. scopare?».
L’uomo molla un attimo la presa sui suoi capelli, qualcosa lo morde, dentro, qualcosa lo tormenta, il volto di legno segnato da rughe infinite scavate da un impulso feroce, qualcosa lo uccide, qualcosa che è troppo più forte di lui. La ragazza lo scavalca mettendosi seduta sulle sue gambe, si alza sulle ginocchia e gli afferra saldamente il cazzo, poi se lo punta fra le cosce e con un lamento infinito si siede e si lascia violare da quell’uomo che muore definitivamente.
Lei inizia a muoversi, saltellando su quel bastone duro e nodoso, le mani dietro la testa coi gomiti aperti, come una farfalla impazzita, i piccoli seni che ballano liberi proprio davanti agli occhi del vecchio uomo. Schiaffi d’acqua fra i loro sessi incastrati, il suono dei corpi eccitati che sbattono, uno dentro l’altro.
Lui l’afferra per i fianchi stretti, come volesse trattenerla dal prendere il volo, muove le mani e se le riempie con quei glutei sodi, non vede, non sente, si lascia scopare su quel divano e vorrebbe sparire. Inizia a tremare adesso e lei accelera sempre di più, «Vieni – gli dice – vieni adesso.. vienimi dentro.. riempimi», è un dolore che si mescola col piacere, uno strazio di carni che urlano a squarciagola, più dentro, più forte, lui alza il bacino, la sbatte facendole male e inizia a ringhiare, sull’orlo franabile di un orgasmo potente, insensato, accecato, selvaggio e definitivo. Precipita, adesso. Precipita dentro se stesso. Lei però lo tiene, non si ferma, vuole la sua parte, punta i piedi sul divano e inizia letteralmente a cavalcarlo, il corpo nudo continua a scuotersi, fra i gemiti isterici e strozzati, cercando la fine di tutto e di tutti. Grida, grida forte la piccola ragazza, gli mette le mani sul collo, gli graffia la pelle e viene, anche lei, mentre lo sperma le inonda la fica.
Proprio in quell’istante, coi corpi increduli uniti per sempre, la finestra si illumina di fiori scintillanti che deflagrano nel cielo, è mezzanotte, le grida lontane di festa, troppo lontane da quella stanza dove il respiro singhiozza e un vecchio cuore è appena stato spezzato.
Gli occhi verdi annegano negli occhi verdi.
Lei gli cerca la bocca, lo bacia, in quello che forse è il gesto più folle di questa assurda serata.
Poi lo abbraccia, forte, si avvicina al suo orecchio e sussurra: «Buon anno.. papà».

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