L’articolo /5

di Altramira

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Parte quinta – Il candelabro

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La contessa si era nuovamente fatta sentire dopo tre giorni. Tre giorni di prigione dorata dove ogni sua mossa era controllata via video. In casa, nuda, senza possibilità di coprirsi neanche con un accappatoio dopo aver fatto la doccia; esposta agli sguardi di chi la contessa avesse voluto far assistere a quello show privato. Poi le richieste di rimanere ferma in un preciso posto della casa: ferma con le braccia sopra la testa e gli occhi chiusi. Durante la sua assenza qualcuno era entrato in casa sua e aveva installato un sistema audio in modo che la contessa potesse parlarle attraverso la rete e ascoltare le sue risposte, che si erano limitate a qualche “sì signora contessa”. Succube ormai, conscia di essersi forse spinta oltre quella soglia che racchiudeva i segreti della villa, Federica si chiedeva che cosa fosse stato a spingerla ad accettare quella forma di dipendenza. Dipendenza? Quella era pura sottomissione, si disse. Era stata la curiosità o la semplice voglia di arrivare prima delle sue colleghe e sfornare un articolo “da urlo” per rimettersi in carreggiata? Oppure era stata Porzia a spingerla a tutto questo, ben sapendo a che cosa sarebbe andata incontro? In ogni caso era stata lei ad accettare, anche se messa in una posizione particolare dalla sua stessa direttrice. L’aveva abbindolata, l’aveva manipolata. Forse.

Fu così che dopo tre giorni Federica si presentò di nuovo alla villa della contessa. Niente bende questa volta. Le era stato chiesto di andare con una corriera di linea. La giornalista era rimasta parecchio imbarazzata, quando a casa le era stato recapitato il pacco con i vestiti che avrebbe dovuto indossare. Quando lo aprì trovò dei pantaloni di pelle e una giacca dello stesso materiale con una chiusura a cerniera. Sul fondo del pacco c’era un paio di stivali, di pelle nera come il resto dell’abbigliamento. Ma ciò che più la turbò fu la richiesta di usare questa scatola e la precedente per stiparvi dentro tutti i suoi abiti, intimo compreso, e di spedire tutto a un indirizzo che lei non conosceva e che non corrispondeva alla villa della contessa. Da un giorno la voce della nobildonna era scomparsa, ma Federica era sicura che la stesse osservando attraverso le telecamere installate in casa sua, forse addirittura registrava ogni istante di sua vita, per poterselo poi godere in futuro, magari assieme alla sua segretaria orientale. Prese i vestiti e li piegò. Le scatole erano abbastanza grandi, anche se per far stare tutto lì dentro dovette pigiare le cose forzatamente e chiudere tutto con un doppio giro di nastro adesivo per pacchi. Scrisse l’indirizzo con un grosso pennarello nero e sul fianco scrisse quello del mittente, ovvero il suo. Ora poteva vestirsi. Indossò i pantaloni che le calzavano a pennello: troppo a pennello, tanto che si infilavano tra le natiche e premevano sul suo sesso davanti; un attento osservatore si sarebbe accorto della mancanza di intimo e avrebbe potuto indovinare la forma della sua vulva. La giacca lasciava un poco scoperta la pancia: tirò su la cerniera fino al segno che era stato fatto sulla pelle e scoprì che sarebbe rimasta parecchio scollata. Si sentì arrossire. Infilò gli stivali e uscì di casa, diretta alla stazione dei pullman. La sua camminata naturale faceva strusciare la pelle dei pantaloni tra le sue gambe, si disse che la cosa era stata studiata apposta: ormai non poteva più pensare che la contessa facesse qualcosa a caso. Il viaggio fu imbarazzante, con addosso gli sguardi di molti, ma la richiesta era chiara: doveva fare come se niente fosse e muoversi in modo naturale. “Una parola” pensava Federica. Tra quegli sguardi c’era sicuramente qualcuno mandato dalla villa per controllare che si attenesse a ciò che le era stato richiesto e Federica individuò quello sguardo una volta alla stazione dei pullman. Era uno sguardo di occhi celesti, uno sguardo severo che sembrava passarla allo scanner ogni secondo, ogni movimento, ogni battito di ciglia. Uno sguardo severo su un viso angelico di una ragazza bionda, elegante.

-Benvenuta alla villa. La contessa ti sta aspettando.

Hai Jay la stava aspettando all’ingresso. Federica non rispose, semplicemente fece un cenno con la testa e Jay capì. La introdusse nell’atrio degli specchi e poi le fece attraversare stanze che lei non aveva ancora visto e ancora su per uno scalone fino a una grande sala semibuia arredata con un grande tavolo circolare e molte sedie attorno a questo. Il tavolo era apparecchiato con una ricca tovaglia ricamata, stoviglie di gran pregio e posate d’argento. Al centro un grosso centrotavola tondo rimaneva un poco sopraelevato sulla superficie della tavola imbandita. Jay fece cenno a Federica di levarsi gli abiti. L’orientale le camminava intorno, scrutandola. Sul suo viso si disegnavano espressioni di compiacimento. Si fermò davanti a lei e passò il suo indice sulle labbra della giornalista, proseguendo il gesto sulla guancia, come una flebile e voluttuosa piccola carezza.

-Come vedi, ci sarà un banchetto. Ma purtroppo in questa stanza non esiste una derivazione dell’impianto elettrico. Così la nostra amata contessa ha pensato a te. Dovresti essere onorata di potere illuminare la sala da pranzo della contessa.

Federica decisamente non riusciva a capire quale sarebbe stata la richiesta, ma rispose ugualmente. -Lo sono.

Jay sorrise.

-Bene- replicò.

Fu portata una scaletta vicino al tavolo e Jay aiutò Federica a salire e ad accomodarsi con la schiena appoggiata al centrotavola, che da vicino risultava morbido e provvisto di innumerevoli fori a distanza regolare. Qualcosa però non tornava nell’idea che la giornalista si era fatta: la sua testa rimaneva al centro. Federica si guardava attorno.

-Non ti preoccupare. Adesso ti metto io nella posizione giusta. L’orientale s’avvicinò. Teneva in mano una corda, nera come il centrotavola. Federica era distesa con le braccia in alto e percepì la corda andare a sfiorare, poi avvolgere e infine stringere i suoi polsi in quella posizione. Jay si portò alle caviglie e sollevò le gambe della giornalista, le piegò e le spinse, fino a che non riuscì ad avvicinarle e legarle vicino ai polsi, sulla parte esterna. Se si era sentita esposta a casa e durante il viaggio in corriera, ora Federica si sentiva frastornata e percepiva la sua posizione oscena, con il sesso e l’ano in piena vista.

Mentre passava il tempo, il sole compiva il suo giro e la stanza si faceva sempre più buia. Jay la bendò con una striscia spessa di stoffa nera. Percepì qualcosa che veniva spruzzato sul suo sesso, forse qualcosa di oleoso, perché le gocce facevano fatica a scendere, erano più dense dell’acqua. Si aggiunsero altri passi, altre voci e poi la voce della contessa.

-Bene Jay, ora prepara il mio candelabro, non vogliamo mangiare al buio. Poco dopo Federica sentì che le venivano appoggiate sulle mani le basi di due grossi cilindri. Jay le sussurrò che erano grosse candele e che avrebbe dovuto tenerle ferme per tutta la cena. Le dita della giornalista si strinsero attorno alla base. Le candele erano pesanti e probabilmente anche alte, perché faceva fatica a tenerle in equilibrio.

-Ora la candela migliore.

La candela migliore? Che cosa significava? La sua immaginazione arrivava solo fino ad un certo punto, forse perché non voleva immaginare la propria voluttà o la propria eccitazione nell’avere questo tipo di pensieri. Le dita di Jay arrivarono rapide alle labbra del suo sesso e le scostarono, la candela dalla base arrotondata era più piccola di quelle che teneva in mano, ma dalle sensazioni poteva indovinarne la forma a spirale. Venne penetrata a fondo, Percepì le labbra che si schiudevano umide e lasciavano che la cera solida, la spirale di cera andasse a toccarla delicatamente, provocandole quella voglia che da molto non sentiva così forte. Poi sentì il rumore di fiammiferi che venivano accesi: poco dopo la cera cominciò a colare.

***

[un nuovo capitolo viene pubblicato ogni due giorni! Torna all’indice]

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