L’articolo /7

di Altramira

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Parte settima – Dressage

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***

Il citofono suonò tre volte a intervalli regolari. Federica aprì e una ragazza si presentò alla porta, reggeva in mano un pacco e lo porse alla giornalista.

-Vestiti e istruzioni dalla contessa.

Girò i tacchi e scese le scale. Erano le dieci di sera, ordini in arrivo e a quanto pareva urgenti. Sotto il coperchio un barattolo trasparente senza alcuna etichetta, faceva intravedere una sorta di lozione densa e grassa. Vicino c’era il biglietto delle istruzioni.

Spalmati il completo contenuto di unguento ovunque (per ovunque significa tutto il corpo compresi i tuoi intimi recessi e anche i capelli), indossa il vestiario che ti ho mandato e vieni immediatamente alla villa a piedi.

Federica aprì il barattolo. L’odore non era dei migliori. Sembrava grasso puzzolente. Ficcò la mano dentro il contenitore, ne prese una buona quantità e cominciò a spalmarsi, sotto una delle telecamere. L’unguento non accennava a sciogliersi o a divenire più morbido nemmeno con il calore sprigionato dal massaggio. S’intrufolò tra le cosce e tra le natiche, lasciando alla giornalista una sensazione di sporcizia, invece che di benessere. Era grasso e spesso. Ancora una presa e ancora una volta la mano che procedeva, sovrapponendolo allo strato precedente. Si venne a formare una sorta di involucro grasso e maleodorante. I capelli ne erano intrisi e aveva svuotato solo metà del contenuto da utilizzare. Quando finì sul suo corpo c’era un dito di grasso e quasi non riusciva a reggerne l’odore penetrante. Non sapeva a che cosa associarlo, non aveva mai sentito un odore del genere, pensò. Controllò il vestiario. Era un vestito leggero color panna, che poteva arrivarle un po’ sopra metà delle cosce. Insieme un paio di belle scarpe dello stesso colore con tacchi non più alti di sette centimetri. Indossò il vestito e calzò le scarpe, quindi uscì di casa e si avviò verso la villa a piedi come le era stato ordinato.

Quando arrivò in prossimità del cancello erano passate tre ore. Tre ore in cui aveva prima attraversato la città, poi la periferia e quindi aveva imboccato la strada, prima asfaltata e poi sterrata, che portava alla villa della contessa. I pedi le facevano male e i muscoli delle gambe si facevano sentire. Premette il pulsante del citofono e attese per una buona mezz’ora in piedi che le venisse aperto il cancello. Doveva ancora percorrere tutto il viale interno e nel frattempo si erano fatte quasi le due di notte. Il ”viaggio” era stato relativamente tranquillo, anche se passando vicino alle persone si era resa conto di non essere l’unica a percepire quell’odore sgradevole. Ad attenderla c’era una ragazza mai vista che disse di chiamarsi Eloise. La condusse dalla contessa, nel suo studio privato. Quella sera la contessa indossava un bel vestito nero e lungo fino al pavimento. Con lei c’erano sei o sette ragazze, Federica non le contò, perché la cosa la sorprese.

-Stanotte farò un esperimento con te.

La contessa si stampò in viso il sorriso più malizioso che la giornalista avesse mai osservato in vita sua.

-Vai alla scrivania e piegati in avanti fino a toccarla. Poi allarga le gambe. Tutte le ragazze la stavano guardando e si vedeva benissimo, anche se cercavano di nasconderlo, che sulle loro bocche si stavano disegnando sorrisi dello stesso tipo di quello ancora impresso sul volto della contessa. Federica si piegò e allargò le gambe. La contessa le fu vicina, le alzò il vestito e mise il suo sedere e il suo sesso alla vista di tutti. Immediatamente due dita scivolarono dentro dei lei, ma si fermarono. Le chiedeva se voleva che continuasse e Federica la pregò di continuare. La contessa era abile e lasciava le dita scivolare dentro e fuori del sesso della giornalista in maniera pigra, quasi fosse impedita nel compiere il gesto, cosicché ne risultava una penetrazione di una estenuante lentezza. Federica cominciò a mugolare incomprensibili consonanti e la contessa proseguiva. Il sesso della giornalista si allagava e arrivò finalmente il momento dell’orgasmo, ma la nobildonna si fermò ed estrasse le dita.

-Come ti ho detto all’inizio di questa avventura, che non sappiamo né tu né io quanto durerà, tu potrai godere solo quando lo deciderò io. Ovviamente, se ti capitasse di arrivare vicina all’orgasmo come questa volta, dovrai chiedermi il permesso di poterlo conseguire, anche se spesso ti sarà negato. Sembra che questa volta tu abbia dimenticato le buone maniere. Se non me ne fossi accorta avresti avuto un orgasmo senza domandare il permesso. Per questo riceverai una punizione che sarà suddivisa in diverse parti. La contessa girò attorno alla scrivania per andare a guardare la giornalista in faccia.

-Dico giusto?- le chiese, prendendole il mento tra il pollice e l’indice e sollevandolo leggermente.

-Sì, Signora Contessa- rispose Federica, ricordandosi come avrebbe dovuto chiamare la donna davanti a lei.

-Bene. Allora Eloise ti infliggerà venticinque frustate su questo magnifico culo. Eloise! Gradirei usassi il frustino da dressage.- poi la contessa continuò, rivolgendosi a Federica -Sottile e stretto, mia cara. Vedrai che ti aiuterà con la memoria e con le buone maniere.

Eloise era una biondina di media altezza, vestiva un normale paio di jeans, forse un po’ stretti, e una bellissima maglietta bianca con disegni tribali, che faceva notare come non portasse reggiseno. In mano aveva il lungo frustino da dressage, che subito fischiò nell’aria abbattendosi con forza sulle natiche di Federica e strappandole un urlo di dolore.

-Contale a voce alta, questa era la numero zero.

Il frustino sottile colpì una seconda volta. “Uno” urlò Federica.

-Impari subito a quanto pare. Ancora una staffilata colpì la giornalista appena sotto le natiche. “Due”.

-Dimenticavo di dirti che se sbagli a contare ricominciamo da zero.

La seduta continuò fino che dalla bocca di Federica uscì in maniera esausta e dolorante la parola “venticinque”. Aveva le lacrime agli occhi. Le natiche erano segnate da venticinque strisce rosse sottili. Federica sentiva un diffuso bruciore ma era stata fortunata, malgrado il dolore e l’umiliazione che sentiva pesare su di sé come un macigno, non aveva perso il conto e l’unica frustata in più era stata la numero zero.

-Farai fatica a sederti- disse la contessa avvicinandosi -e indosserai indumenti abbastanza corti da poter mostrare a chiunque ti incroci per strada che sei stata punita per un tuo errore. Riceverai questa punizione ogni due giorni, così da poter ricordare ciò che prima stavi dimenticando. Quando riterrò che quella regola sia ben impressa nella tua memoria le sedute di memorizzazione finiranno.

La contessa girò attorno a Federica, le prese il viso in mano e lo alzò, permettendole così di guardarla negli occhi.

-So che ciò che sta succedendo ti sta eccitando in un modo che tu non avresti mai pensato potesse accadere. So anche che la tua voglia sta salendo di giorno in giorno, ma per quella devi avere molta pazienza, mia cara. Verrà il momento in cui potrai dar sfogo alla tua voglia repressa, ma passerà un po’ di tempo. So anche un’altra cosa che tu ora stenterai a credere. Mi chiederai di essere umiliata in ogni luogo e addirittura mi pregherai per questo.

La contessa sorrise allo sguardo attonito della giornalista.

-Lo so, adesso può sembrarti incredibile, ma fidati di me e della mia esperienza: capiterà. Voglio che tu ci pensi e che cominci a percepire quelle emozioni che ti indurranno a chiedermelo. Ora infilati quello che ti danno loro e vattene a casa.

Su una cosa la contessa aveva ragione, Federica sentiva la sua voglia crescere di giorno in giorno e le era sembrato così assurdo non poterla soddisfare, finché non arrivò a ritenere assurdo il fatto che la cosa la eccitava e le piaceva. Le piaceva obbedire a quella donna che la stava in qualche modo ipnotizzando, la stava tenendo in suo potere, senza far niente di più che darle degli ordini da eseguire. Assurdità. Ma quante altre assurdità le persone compivano durante la propria esistenza? Lei aveva uno scopo… oh sì, si disse, anche la contessa aveva un suo scopo e probabilmente quello che stava succedendo era più attinente allo scopo della contessa che non al suo. Staremo a vedere, si disse ancora.

Due giorni erano passati e sapeva che in un modo o nell’altro la contessa avrebbe rinnovato quella che lei chiamava “seduta di memorizzazione”. La telefonata arrivò improvvisa mentre lei ancora stava dormendo. “Esci e fatti trovare alla fermata dell’autobus sotto casa tua. Immediatamente”. Ordini telefonici telegrafici. Una voce femminile sconosciuta, ma la cui proprietaria sapeva benissimo chi era lei e cosa le stava per succedere. Indossò la maglietta stretta, la minigonna svolazzante e le scarpe con i tacchi alti, si tirò la porta di casa dietro e scese la scale di corsa. Quanto ci aveva messo? Tre minuti? Cinque?

-Sei in ritardo- le disse una ragazza quando arrivò col fiatone alla fermata del bus.

Caschetto di capelli castani scuri, un metro e settanta senza tacchi, fisico sportivo e occhiali da sole. Indossava un paio di jeans schiariti, una blusa e una giacca di pelle marrone. Quando arrivò l’autobus le ordinò di salire e sedersi nella fila di sedili in fondo.

-Ci facciamo un bel giro. Intanto comincia a sollevarti la gonna e lisciarti la fica- le sussurrò.

La faccia di Federica doveva essere stata parecchio espressiva, perché la ragazza le ribadì l’ordine stringendole un braccio. Ecco che arrivavano le umiliazioni, anche se non richieste. Eseguì: sollevò la gonna e infilò una mano tra le cosce, accarezzandosi.

-Mi hai preso per scema?- disse la ragazza -apri bene quelle cosce. Se qualcuno sale ti deve vedere bene.

Divenne rossa e poi porpora e poi viola. La ragazza le scostò una delle ginocchia e lei capì che avrebbe dovuto obbedire. Spalancò le cosce e si accarezzò. Tre o quattro fermate dopo, in aperta campagna, salì un uomo. Si guardò intorno, sembrava non aver notato la scena. Di media statura e corporatura, s’avvicinò invece dopo qualche esitazione alle due donne in fondo al mezzo pubblico. Senza dire niente si fermò davanti a Federica, in modo da coprirla da eventuali altri sguardi, lanciò un’occhiata alla ragazza con il caschetto e si aprì i pantaloni.

-Ora glielo succhi- Disse la ragazza.

La giornalista capì che c’era poco da fare la schizzinosa. Era ormai completamente nelle mani della contessa e di chi lei sceglieva per amministrare quello che lei desiderava nei suoi confronti. Aprì la bocca e lasciò che l’uomo appoggiasse il suo glande all’interno, poi cominciò a succhiare il membro già duro. Era largo, anche se non particolarmente lungo e i testicoli erano tesi. Succhiò con perizia, sapendo dove posizionare la lingua e come muoverla e il coito orale non durò molto. L’uomo si scostò e lasciò che il suo sperma schizzasse sul viso di Federica, sulla maglietta, sulla gonna e sulle cosce. Si fece pulire per bene, rimise tutto in ordine. Si girò e scese alla fermata seguente.

-Guai se ti pulisci. Devi rimanere così. Scendiamo alla prossima.

La macchina le attendeva a bordo strada. La ragazza aprì il bagagliaio ed estrasse il frustino da dressage. S’incamminò verso il boschetto facendo segno a Federica di seguirla. Il tronco era umido e coperto di muschio.

-Appoggiati a quello con le tette.- Il frustino rovistò sotto la gonna e la sollevò.

Dovette contare ancora, da zero a venticinque. Le natiche erano molto più rosse della volta precedente.

-Ora te ne vai a casa a piedi. E veloce!

***

[un nuovo capitolo viene pubblicato ogni due giorni! Torna all’indice]

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