Le mie vacanze in montagna
di Carol89
La mia famiglia è originale sotto molti punti di vista, ma, paradossalmente, anche piuttosto tradizionalista. Quantomeno, abitudinaria.
Tutte le estati lasciamo la città (cittadina, è più corretto dire) e ci trasferiamo nella casetta che abbiamo in montagna. Lì passiamo gran parte delle vacanze estive.
Abbiamo la fortuna di poterlo fare presto, appena finiscono le scuole. Mio papà è architetto, e ha una certa libertà per quanto riguarda il lavoro. Credo che in realtà lui segua soprattutto progetti che gli interessano, e si permette di dire di no a quelli che non lo interessano “creativamente” e che lo vincolerebbero troppo. Ogni tanto, mentre siamo in montagna, deve scendere a valle in macchina per seguire qualche cantiere, ma a parte questo può lavorare da dove vuole.
Mia mamma è psicomotricista, e lavora soprattutto come consulente educativa per le scuole. Quindi, quando chiudono le scuole, può staccare anche lei.
Io e mia sorella, ovviamente, dipendiamo dal calendario scolastico, e quindi le vacanze di famiglia, in realtà, dipendono da noi. Entrambi siamo ormai al liceo: io l’ho iniziato da poco, lei, che ha quasi due anni più di me, comincia ormai a pensare anche all’università. In definitiva, quando ci spostiamo in montagna è giugno: pochi giorni dopo la fine della scuola, giusto il tempo di organizzarci e caricare la macchina con tutte le (molte) borse.
La casa che abbiamo in montagna è più piccola di quella in città. Però è anche vero che ci passiamo molto meno tempo, perché siamo spesso fuori, in giro a fare sport o a stare con gli amici che abbiamo là. Più che una casa è in realtà un appartamento: si trova al primo (e ultimo) piano di una palazzina che sta proprio al centro di uno dei paesini della valle, Mezzavalle. Come si capisce dal nome, è il paese che sta proprio a metà della valle. Comodo, perché la valle si estende per pochi chilometri e da lì è possibile raggiungere in bici (o volendo anche a piedi) tutti gli altri paesi. Io e mia sorella ci muoviamo autonomamente, anche perché la valle è tranquilla, di traffico di auto ce n’è poco (eccetto la domenica e nel pieno di agosto) e noi conosciamo molte altre famiglie, dato che i miei venivano in vacanza qui anche quando erano ragazzi loro.
L’appartamento, dicevo, è piuttosto piccolo. L’ingresso è in comune con l’appartamento di sotto, che è abitato da una coppia di pensionati che ci vengono in vacanza, come noi, ma lo fanno per ancora più mesi all’anno, da primavera ad autunno inoltrato. Poi si salgono due rampe di scale e si arriva sul nostro pianerottolo: fuori dalla porta c’è una scaffalatura dove lasciamo le scarpe, e dove teniamo gli scarponi da montagna pronti all’uso. La casa si sviluppa attorno ad un corridoio. Entrando si trova subito la cucina, dove ci sta anche un tavolo sufficiente per fare colazione. A sinistra c’è la sala, che è la stanza più grande e più usata della casa: è dominata da una stube, una grossa stufa in pietra, tipica di quelle valli. Proseguendo lungo il corridoio c’è il bagno, che ha una vasca con una tenda per usarla anche come doccia, e in fondo ci sono le camere da letto, una per i miei e una per me e mia sorella. Sì, noi due in montagna ci adattiamo ad avere la camera in comune: è così fin da quando siamo piccoli e ormai lo diamo per scontato. Del resto, come dicevo, in casa ci stiamo poco.
L’estate di cui vi parlo era quindi per noi una tipica estate. Finita la scuola, caricati in macchina tutti i bagagli, partimmo a metà settimana e, dopo circa tre ore di viaggio tranquillo, arrivammo nella nostra seconda dimora. Io (a proposito, mi chiamo Marco) e mia sorella Federica accettavamo di buon grado la cosa. In realtà non avevamo mai neanche messo in discussione questo trasferimento: ci eravamo talmente abituati che forse era un automatismo, e non pensavamo neanche, ancora, a vacanze alternative.
Il primo giorno, appena arrivati, lo dedicammo ad organizzarci e riambientarci. Disfammo i bagagli, Federica e io occupammo la nostra camera, prendendo possesso dei letti (il mio era quello più vicino alla porta, il suo quello in fondo contro la parete) e disfando il grosso della valigie, così da poterle riporre in cantina: in casa lo spazio era prezioso!
Verso fine pomeriggio i miei presero le bici e andarono nel paese vicino, a salutare i loro amici. Federica andò a casa della sua miglior amica di montagna (diversa dalla miglior amica di città), mentre io feci meno strada di tutti: mi bastò scendere nella piazzetta sotto casa per trovare gli altri ragazzi del paese e stare un po’ a giocare con loro. Tornammo tutti a casa per cena, mamma e papà portando anche un po’ di spesa appena fatta, e cenammo tutti insieme.
Dopo cena papà si dedicò a pulire e far ripartire la stufa, che non usavamo dall’inverno precedente. A inizio giugno la sera faceva ancora un po’ fresco, e senza bisogno di attaccare il riscaldamento, la stufa poteva scaldare la casa quanto bastava. Io gli diedi una mano, mentre mia sorella aiutò mia mamma a sistemare altre cose in casa, anche se un po’ controvoglia. Andammo tutti a letto presto, come era abbastanza normale quando eravamo in montagna. Sembra poetico dirlo, ma là si viveva molto con i ritmi del sole: ci si alzava poco dopo l’alba e si rientrava in casa al tramonto.