L’educazione sentimentale-2

 

Di Browserfast

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Capitolo 2- Non dirlo a nessuno

Qualcuno la definirebbe una coincidenza fortunata, ma il fatto è che al suo paese mio zio ha steso le gambe e che i miei sono dovuti partire in fretta e in furia caricando la macchina di parenti per andare al funerale.

Avviene tutto intorno alle nove, nove e mezza di mattina. Mio fratello si vaporizza intorno all’ora di pranzo. Come fa sempre. Mi raccomanda di lavare i piatti e spazzare la cucina.

Chiamo Lilli, ma non rientrerà prima delle cinque e mezza, forse le sei.

A quell’ora sono al suo citofono che le chiedo se le va di scendere. Lei accetta, nella sua voce c’è accondiscendenza.

Dal balcone al secondo piano sua madre esce a richiamarla. “Lilli torna su, sei rientrata adesso”. “Non faccio tardi, mamma”. Io dico: “Buonasera signora”. Non le racconto quello che è avvenuto la sera prima. Non voglio spaventarla, ma vorrei farlo per farmi compatire un po’.

Entriamo a casa mia, abbracciati e impazienti. Ci baciamo, ci spogliamo. Finiamo sul mio letto con la luce accesa. Fatta eccezione per le mutandine lei è nuda davanti a me, con il suo seno già maturo, le anche sporgenti, il bacino un po’ largo. Non ho mai visto una ragazza nuda prima, se si eccettua quella volta che entrai nella cabina dove Cinzia si stava cambiando il costume restando di sasso di fronte a quelle poppe ballonzolanti e a quel triangolo nero.

E comunque nessuna mai prima si era spogliata per me.

Sono in mutande anche io, con un accenno di erezione. Non sono imbarazzato, non sono nemmeno particolarmente eccitato. Sono felice, divertito. E anche un po’ preoccupato.

Lei si stende su di me. I nostri sessi iniziano a frizionarsi, la tocco ovunque, esploro la pelle.

Le tengo la lingua in bocca, è l’unico modo che conosco di baciare, e l’ho anche appena imparato. Poi mi metto sopra io e, come obbedendo al primo istinto, inizio a succhiarle il seno. “Piano, piano”, sussurra.

I sessi si ritrovano attraverso i tessuti, si cercano, si spingono. Le tocco le mutandine e le sento bagnate. Penso che si sia fatta la pipì addosso, penso che abbia le sue cose. Tutto tranne quello che dovrei pensare.

In fondo che cazzo ne so di ciò che avviene nelle mutande di una ragazza?

E a proposito di cazzo, Lilli infila una mano nei miei slip e me lo tira fuori, lo impugna, inizia a farci su e giù. Poi abbassa la testa, apre la bocca e se lo infila dentro.

Rimango impietrito, quasi senza respiro, con la bocca aperta e un’espressione da strangolato. Le mie mani afferrano la sovracoperta ruvida e la stroppicciano: “Lilli… è bellissimo” riesco solo a dire.

Lei si rialza, lo riprende nella mano. E lucido e bagnato, scivola bene. Inizia a segarmi sempre più velocemente. Mi guarda negli occhi, sorride.

Vengo con degli schizzi altissimi, che quasi raggiungono il soffitto e poi ricadono su di noi. Sul mio petto, sui suoi capelli, sul letto. Sono riuscito a impedirmi di gridare, dalla mia gola è uscito un “ah!” in falsetto.

“Lilli ti prego, è stato bellissimo, lo rivoglio!”.

Lei sorride ancora, ma stavolta c’è ironia e dispetto nei suoi occhi.

“Prima ti pulisci. Poi credo che dovresti pensare anche al mio piacere, maschietto”.

Le sue parole mi investono, fanno di me uno di quegli egoisti che abbiamo sempre condannato, deriso, messo fuori dalla Storia. Sottolineano la mia goffaggine. Le chiedo scusa.

Andiamo al bagno a lavarci. C’è un po’ di gelo tra noi. O forse sono io che mi vergogno. Mi lavo, poi tocca a lei. Le pulisco i capelli, le bagno due ciocche e gliele asciugo con il phon. Giochiamo. Stiamo imparando a volerci bene.

Mi prende la mano con un’aria di finto rimprovero, mi riporta in camera da letto. Mi dà le spalle. Prima di distendersi sul letto si toglie gli slip. Vedo prima il suo sedere poi, quando si adagia, la sua fica dalla peluria arruffata. Mi pianta gli occhi negli occhi, allarga le gambe: “Vieni, baciami”.

Stavolta capisco al volo dove devo baciare.

“Baciami, leccami”. Mi accarezza i capelli. Mugola. Si impenna quando le sfioro il clitoride, che so più o meno dov’è dopo avere letto “Noi e il nostro corpo”. Ma che ignoravo producesse quella reazione. Ogni suo movimento è un incitamento. Il suono della sua voce è un’ottava più in alto, ora. E’ un violino. Io sono stordito dal suo sapore. Lo trovo nauseante ma mi attrae. Ho l’interno del suo corpo spalmato sulla lingua.

“Vieni, vieni sopra di me. Facciamolo”.

Lilli è diventata impaziente, frenetica. Mi rialzo e la giro, la faccio rotolare. Ho un’idea. Non è estemporanea, è dal pomeriggio che ci penso. “Cosa fai?”. Mi stendo sulla sua schiena.

Le nostre basi teoriche sul sesso anale sono molto limitate. Anche in questo caso “Noi e il nostro corpo”, e quel capitolo di “Porci con le ali”, quando Antonia conclude maledicendo Rocco tra sé e sé: “Mi sembra di non averti mai voluto neanche un po’ di bene”.

Appena appoggio il cazzo sul suo ingresso posteriore Lilli si irrigidisce. Spingo un po’. Lei si volta di me con gli occhi stretti: “No, nella vagina”. Lo dice con una voce bassa, timida, delusa. Io mi abbasso verso di lei, le sussurro all’orecchio “non possiamo Lilli, non possiamo, così rischiamo di fare un bambino”.

La forzo ancora un po’, lei è sempre rigida. Ha un urlo strozzato, mi subisce ancora un po’ mentre le vado a fondo. Produce un suono di aria aspirata tra i denti stretti. Poi reagisce: “No! Mi fai male. No! E’… è… è umiliante… sei un porco, un fascista!”. Mi blocco, sto per pentirmi, ma sento un’onda calda che mi avvolge il ventre. Mi spinge a andare avanti almeno ancora un po’. “Ti prego Lilli, ti prego amore mio”.

E’ la prima volta che le dico amore. Me ne rendo conto nonostante tutto.

Lilli invece dice ancora un paio di “no” poi inizia a lamentarsi come se stesse per piangere. Io non ce la faccio più a andare avanti. Mi brucia quel fodero così stretto, fa male. Ma mi piace restare.

C’è un tempo sospeso che dura un’eternità. Me lo sto godendo, sto provando un piacere diverso da quello del giorno prima. Un piacere più fastidioso ma più intenso. Poi per un istante tutto si interrompe. E’ quando spingo ancora un po’, forse troppo. Lei cerca di soffocare il suo ululato nel cuscino, ma il verso che produce è davvero quello di un animale ferito. Mi si gela il sangue. Mi fermo, lei no. Comincia a ondeggiare sotto di me.

“Toccami, toccami”, la voce di Lilli si è fatta ansimante. Infilo la mano tra il suo corpo e la lana della coperta. Percorro il ventre e sento i peli del suo pube. Vorrei raggiungere la sua fica, ma quando arrivo a sfiorarle il clitoride

lei esplode.

E’ terribile, è angelico, è devastante. E’ l’altra metà del cielo. Il corpo di lei si irrigidisce ancora di più, la schiena si inarca. Poi tutto si disarticola. Lilli è una ragazza forte, non ha una corporatura minuta. Rischio di essere disarcionato. Il sedere dà tre o quattro colpi all’indietro verso di me, velocissimi. Pensavo di essere arrivato e invece affondo ancora di più. Sentro sfregare, sento dolore. Io grido, lei strilla. Il suo lamento diventa pianto, il suo pianto un urlo. E quando lei urla io vengo. Due getti lunghissimi, come se le stessi pisciando nel culo. Mi sento improvvisamente svuotato di tutto. Mi abbandono sopra le sue grida che via via sfumano.

Dopo pochi secondi Lilli volta la testa verso di me: “Non lo dire a nessuno, guai a te se lo racconti a qualcuno”.

 

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