Lettera dall’oltretomba

di Esperia

Da un racconto di radk

Potete contattarmi all’indirizzo:

fildispada@yahoo.it

Capitolo 1 – In attesa della fine

Ho rimandato questa cosa anche troppo.
Tutto il resto è fatto: le mie ultime volontà, le istruzioni per il mio
funerale, i conti bancari, le utenze ormai intestate ai miei eredi.
Questa lettera a mio marito è l’ultima della lista ed è ora che la
scriva, non mi resta molto tempo.
Dovrebbe essere una cosa semplice, so già cosa devo scrivergli. Invece
non lo è, perché una volta scritta non mi resterà che sedermi ad
aspettare la morte ed è una prospettiva abbastanza inquietante.

< Mio caro Ettore,
mancano pochi giorni alla mia morte e ti sto scrivendo questa mia ultima
lettera che affiderò al nostro avvocato con la raccomandazione di
consegnartela tre settimane dopo la mia morte. Tre settimane dovrebbero
essere sufficienti per attenuare un po’ il dolore e il lutto che
sicuramente proverai. O per lo meno dovresti aver terminato gli avanzi
nel frigorifero. Tutto è pronto per la mia dipartita (rileggendo questa
frase mi rendo conto che suona come se dovessi andare in vacanza…).
Tutti i miei affari sono in ordine, ho salutato già tutti, i nostri
figli, colleghi, amici, le signore che facevano volontariato con me, i
vicini, il prete, il medico di famiglia, la portinaia,l’oncologo che mi
segue e il suo staff, così professionale. Poi ho restituito i libri alla
biblioteca di quartiere, ho fatto ritirare la roba dalla tintoria e
avvertito la banca che presto dovranno aiutarvi a cambiare le
intestazioni dei conti. Ho persino avuto modo di dire a quella vecchia
strega della casa di fronte che ci spia a che diffonde pettegolezzi sul
nostro conto cosa penso di lei, di sua madre e della terra in cui è
nata. Le maledizioni di una moribonda dovrebbero darle da pensare,
spero. Ma mi rimane ancora la cosa più difficile: dirti addio.>

Il mio funerale! Ecco una cosa a cui non mi sarei mai immaginata di
dover pensare! Ma non posso che accettare l’inevitabile. Non posso
cambiare ciò che mi sta per succedere: ho fatto tutto il possibile e ora
non mi resta che aspettare che il cancro finisca per distruggere tutto
il resto del mio corpo. Andare con mia figlia Silvia a prendere accordi
con le Pompe Funebri per la mia cremazione è stato surreale. Prenderanno
il mio corpo, lo metteranno in un forno fino a che non ne rimarrà solo
un mucchietto di ceneri che daranno a mia figlia in un vaso. Il mio
corpo! Che era così bello e giovane una volta! E quando quel bastardo ha
insistito per farsi pagare un robusto acconto in anticipo mi sono
sentita come una di quelle macchine che dai al concessionario perché la
rottamino per riciclarne il metallo e farci lattine per la birra. A
vederlo che si fregava le mani per la cupidigia mi veniva voglia di
rimanere viva solo per farlo incazzare, ma non posso. Non posso farci
niente.
Vabbe’, dov’ero rimasta?

< Abbiamo avuto una bella vita tu ed io, insieme. Ventitré anni sono
un bel risultato, non tutti ci riescono. Io ho apprezzato molto quanto
abbiamo passato insieme e mi spiace solo di non avere la possibilità di
passare altri ventitré anni con te. Ma, come dice il saggio, tutte le
cose belle prima o poi finiscono.>

Già, ventitré anni. La maggior parte dei quali buoni, ma ne abbiamo
avuti anche di brutti, come negarlo? Guardo l’album di foto del nostro
matrimonio e vedo la foto del nostro primo bacio come marito e moglie.
Me lo ricordo come se fosse ieri. Ero così innamorata, che piansi di
gioia dopo. Ero giovane, impreparata e ingenua. Pensavo che la nostra
vita sarebbe stata come nelle favole: per sempre felici e contenti. Non
immaginavo certo le difficoltà che avremmo affrontato e che la nostra
vita sarebbe stata come guidare una utilitaria su una strada sterrata,
piena di buche, di cunette, di sobbalzi e urti. Chi poteva prevedere le
nostre differenze caratteriali, i problemi economici, le faccende
pratiche da sbrigare tutti i giorni, di cui nessuno di noi due aveva
conoscenza perché nelle nostre case ci avevano pensato sempre i nostri
genitori? E poi l’educazione di figli, i loro spiriti ribelli, le
malattie dei nostri genitori e l’assistenza quotidiana che
necessitarono, a turno, prima di morire. E le altre donne, che dire di
loro?

< La verità è che non so se sarà la fine di tutto o invece l’inizio
di qualcosa di nuovo e meraviglioso. Don Francesco è passato a trovarmi
tante volte e mi ha aiutata molto a farmi passare le paure e a darmi
nuove speranze, anche se non ho capito ancora bene il concetto di “vita
dopo la morte”. Ho sempre pensato che la mia vita fosse cominciata
quando ti ho incontrato ed ora l’idea di morire e poi di una vita chissà
come e chissà dove, ma sempre senza di te non posso considerarla una
vera vita. Non voglio stare senza di te. Ti ho amato dal giorno in cui
ti ho conosciuto e non starò senza di te senza importare cosa succeda al
mio corpo. Sarò sempre accanto a te dovunque io sia.>

Ecco, l’ho detto: “Ti ho amato dal giorno in cui ti ho conosciuto”. Ed è
vero. L’ho amato per quasi tutti i ventitré anni che abbiamo passato
insieme. Nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella
malattia, nella ricchezza e nella povertà. Fino a quando non ho scoperto
la sua storia con Bianca. Mi ha spezzato il cuore, quel maledetto
bastardo. Ma devo farmi forza, continuare a scrivere cose carine su di
lui come se non fosse successo niente, ignorando la rabbia che ancora mi
divora.

< Ma non voglio che questa mia lettera suoni in qualche modo come un
rimprovero. La sola cosa che voglio è dire addio all’uomo che ho sposato
e per riuscirci, senza piangere, sono costretta a scrivere anziché
parlarti di persona. Sì, vabbe’, ora sto piangendo a dirotto, ma quando
mi leggerai tutto sarà passato.>

Già, come no. Probabilmente, quando mi leggerà starà già cercando il mio
rimpiazzo, come se non lo conoscessi. Come se non sapessi quanto ha
bisogno di una donna accanto a sé, lui, che non sa cucinare (neanche un
uovo sodo), odia fare le pulizie, non sa usare una lavatrice o un ferro
da stiro. Ci ho sempre pensato io, durante tutti i ventitré anni durante
i quali siamo stati insieme. Una donna di servizio disponibile anche a
farsi scopare: ecco cosa sono stata per lui negli ultimi anni. Trovare
un’altra stupida come me non gli sarà facile, credo. E finché non l’avrà
trovata dovrà mangiare in pizzeria, accumulare lo sporco in qualche
angolo con una scopa (qualcuno dovrà però spiegargli che la scopa è
quell’arnese composto da un lungo bastone con una spazzola di setole a
una estremità che si trova nello sgabuzzino e che avrà visto chissà
quante volte chiedendosi probabilmente a cosa servisse) e spararsi seghe
sotto la doccia. Chissà che divertimento!

< Abbraccia Silvia da parte mia. Ricordale che l’ho sempre amata
teneramente e che ho sempre pensato che fosse la miglior figlia del
mondo, anche se ci ha fatto impazzire quando andava al liceo con la sua
passione per la marijuana, la birra e i ragazzi “difficili”. Ma ora che
ha avuto dei figli vedo che è una donna con la testa sulle spalle e che
sarà una madre straordinaria.
Dille che passi spesso a trovarti e che non ti lasci solo; qualche volta
potrebbe persino cucinarti quel pasticcio di carne che preparavo a
Natale con la polenta e che ti piace molto. Le ho dato la mia ricetta
segreta in eredità, così che ci sarà qualcosa che ti ricorderà di me
quando non ci sarò più.>

Non parliamo di Silvia. Una ragazza single di ventidue anni con due
figli da due uomini diversi non è certo il mio ideale di figlia. Ho
sempre sognato di vederla con l’abito bianco in chiesa al braccio di un
giovane marito ricco e bellissimo oppure di vederla ricevere la laurea
con 110 e lode e bacio accademico all’Università Cattolica, per poi
trovare un lavoro in una grande azienda o una organizzazione governativa
che le facesse girare il mondo e dove potesse fare una brillante
carriera. E fantasticavo nell’immaginarmi dietro il vetro della clinica
con altre nonne a puntare il dito verso il bambino più bello dicendo
con orgoglio che quello era mio nipote. Non avrei certo immaginato di
vedermela un giorno comparire alla porta di casa con un pancione più
sporgente delle sue tette a spiegarmi che Lucio, il netturbino precario e
drogato, l’aveva lasciata per tornare da sua moglie e dai suoi figli. E
poi dover rinunciare alla nostra vacanza in crociera per darle i soldi
per far fronte alle spese del nuovo bambino, e, come se non bastasse,
vedermela ritornare una mattina all’alba, sei mesi dopo, completamente
ubriaca, con un altro marmocchio nella pancia. Mi viene male a pensare a
tutto quello che le abbiamo dato, a tutto ciò a cui abbiamo rinunciato
per lei e poi vederci ripagare con la consapevolezza che ha rovinato e
sporcato tutto ciò che ha avuto e che il suo obiettivo nella vita è
aprire la gambe per tutti i mascalzoni e gli sfaccendati della città.
Persino la mia ricetta del pasticcio di carne, che le ho scritto in
bella calligrafia su un foglio di pergamena, ora la usa come
sottobicchiere per la sua bottiglia di vodka.

< Ettore, so di aver fatto degli errori e me ne dispiace. Mi sento
colpevole per averti infastidito con le mie insistenze e quando ci penso
me ne vergogno. Ma non era mia intenzione sminuirti o disprezzarti.
Pensavo solo che tu, al contrario, fossi migliore degli altri e vedevo
quanto frustrato e insoddisfatto fossi del tuo lavoro e credevo che se
tu ti fossi impegnato un po’ di più avresti facilmente raggiunto le
posizioni e lo stipendio che ti meritavi. E che saresti quindi stato più
felice. Ho sbagliato a spingerti a fare cose che non volevi. È colpa
mia, non avevo capito che la tua massima ambizione era andare allo
stadio la domenica e giocare alle bocce la sera. Mi rendo conto che
avrei dovuto seguirti nelle tue passioni e nei tuoi hobby, così da avere
qualche argomento di conversazione in più nelle nostre serate
solitarie. Ti chiedo perdono per non aver capito una cosa tanto
semplice.>

Già, se avessi solo sospettato che la sua massima aspirazione fosse di
stare seduto nel suo cubicolo vicino al cesso a spuntare tabulati tutto
il giorno col cazzo che l’avrei sposato. Eppure era laureato in
ingegneria elettrotecnica al Politecnico! Non è certo da tutti! Come
facesse a essere contento nell’esaminare richieste di rimborso per la
società di assicurazioni per cui lavorava per quattro soldi non lo
capirò mai. Certo che gli rompevo le palle perché si impegnasse di più.
Avrebbe potuto essere il capo di quella schifosa società! O almeno uno
dei manager più importanti, ma non gli importava della Mercedes
aziendale che veniva data ai dirigenti, né di frequentare la bella
gente, quella che conta o di passare le vacanze a Saint Tropez, alle
Maldive o a Cortina. Preferiva lavorare dalla nove alle cinque e giocare
a bocce con gli ubriachi il sabato sera e la domenica andare a San Siro
a vedere l’Inter. Io odio il calcio e l’Inter in particolare! Merda!
Nella mia famiglia d’origine erano tutti milanisti!

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