Mind Sharing

di Cigno

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Buon giorno, esploratore.

Hai selezionato il programma di memoria condivisa.

Questa memoria condivisa è di proprietà di Memories Enterprise project.

Se mi stai ascoltando, significa che hai superato il nostro livello 2 di sicurezza e i nostri responsabili di progetto ti hanno assegnato questa missione.

La missione ti verrà esplicitata durante l’intero svolgimento del programma di memoria.

Prego, sdraiati nella cabina energetica, digita il tuo numero identificativo e bevi il fluido dal beccuccio del terminale alla tua sinistra.

Programma autorizzato e pronto all’avvio.

Sentirai un leggero intorpidimento del corpo. D’ora in poi la tua mente sarà collegata con la mente del proprietario della memoria in archivio. Potrai esplorare i suoi pensieri e sarai collegato al suo corpo.

Rimani calmo. Inizia tra 3….2…1

Oggi è il giorno in cui lo rivedo, finalmente da soli. Ci siamo conosciuti circa 4 anni fa alla conferenza internazionale sulle neuroscienze. E’ stato meraviglioso il nostro primo scambio di battute.

Ricordo ancora adesso il sapore del margarita che stavo bevendo al bar dell’hotel dove si svolgevano i lavori.

Era pieno di autorevoli scienziati che si fregiavano delle loro pubblicazioni, parlando di come i loro studi avessero letteralmente sconvolto le nostre vite.

Grazie a loro, la terra, gli uomini e l’universo intero ha compiuto passi da gigante. Chiunque fosse lì presente non faceva altro che sottolineare l’importanza di essere lì.

Un paio di ricercatori vollero offrirmi un drink. Erano goffi, occhialuti e palesemente alticci.

Uno di loro era un fisico computazionale, mentre l’altro studiava le interazioni uomo-macchina.

Cercavano di convincermi che la loro presenza lì sarebbe stata ricordata negli annali della fondazione. Io li vedevo, bearsi dei loro successi mentre ingurgitavano dosi massicce di alcool e studiai il modo in cui persero progressivamente la lucidità e iniziarono a parlare in modo disinibito.

Ero l’unica donna, in quel bar.

Ero sola, stavo bevendo un margarita dal sapore acidulo, cercando il modo per sgattaiolare da quei due incompetenti.

E’ dura la vita di una ricercatrice donna in un mondo di soli uomini. Per quanto la tua competenza possa essere riconosciuta, l’unico motivo per cui ti avvicinano è offrirti qualcosa da bere con la speranza di scorgere l’interno della tua scollatura.

Io sorridevo, perché so quando un uomo ci prova. So soprattutto quando un fisico tenta di flirtare con me.

Si aiuta con la sbronza, per essere meno timido, e comincia a decantare le sue passioni.

Che noia. Questi due idioti sono rispettivamente la terza e quarta persona ad adocchiarmi per offrirmi qualcosa da bere.

Nessuno mi chiede cosa ci faccia io li. Di cosa mi occupi. Nessuno è interessato a ciò che penso. Sono tutti focalizzati sul mio culo poggiato sullo sgabello in pelle del bancone del bar. Il vestito che ho indosso per la cena inaugurale è un modello sartoriale che poche donne al mondo hanno avuto la fortuna di indossare. La sua struttura intrecciata di seta e carbonio esalta la mia silhouette, offrendo un delicato assaggio delle mie forme. Il drappeggio candido e la struttura stessa del tessuto mi permettono di rimanere libera senza intimo. Nessuno può vedere cosa c’è sotto, a meno che il mio cervello non voglia.

Per i due conglioncelli, infatti, non c’era speranza che potessero sbirciare sotto la trasparenza del mio vestito.

Mi feci offrire il cocktail e scambiai con loro un paio di parole. Continuavano a cambiare angolatura della testa per cercare di capire se la trama del mio vestito potesse essere in qualche modo elusa. Io sorridevo. Che noia.

Mentre i due disperati continuavano la loro scialba iniziativa per portarmi ai loro alloggi, ad un certo punto il mio sguardo si posò su di lui.

Era in disparte, teneva un sigaro in mano e un whiskey nell’altra. Parlava con un paio di suoi colleghi e il suo viso era splendidamente curato. Aveva uno smoking classico, i capelli corti e non aveva mai poggiato gli occhi su di me, quella sera. Fino a quel momento.

Mi guardò dritta negli occhi. Mi penetrò, letteralmente. Avvertii un brivido incalcolabile. La fibra di carbonio riproduceva quel brivido sulla schiena a mio piacimento. La sua espressione era calma, sicura e decisa.

Io rimasi bloccata e son convinta di aver lasciato tremare per una frazione di secondo il labbro inferiore.

Lui lo notò, si staccò dal resto del gruppo e si avvicinò.

Lo guardai camminare verso di me. Aveva un portamento delizioso. Teneva lo sguardo fisso su di me e sembrava non notare il lato esterno della mia coscia rendersi improvvisamente più chiaro.

La mia mente aveva deliberatamente e inconsciamente deciso che per lui la trama del vestito all’altezza delle gambe dovesse essere più trasparente.

Era una cosa che avrebbe potuto notare solo lui, per mia scelta.

Tuttavia, sembrava non essere colpito dalla mia coscia, apparentemente.

Si piazzò davanti a me e si rivolse ai miei due compagni di bevute.

Gli disse “Perdonatemi, illustri colleghi, posso rubarvi un attimo la dottoressa….”

“Robin…” intervenni io. Lui mi guardò intensamente.

“Faccia pure… professore… si figuri!” Disse uno dei due sfigati.

Mi prese per mano e mi condusse fuori, al balcone dell’hotel. La vista dei grattacieli illuminati e le aerostazioni della città era mozzafiato.

Gli dissi “Dunque lei è un professore”

“Sono solo un modesto scienziato che ha avuto la fortuna di imbattersi in qualche particella di difficile comprensione.” rispose lui. Poi aggiunse “lei ha detto di chiamarsi Robin…posso sapere il resto…?”

“Come mai è interessato a sapere chi sia io?” gli domandai. Il mio abito scintillava al buio. Ero già coinvolta.

“Vorrei sapere chi si cela dietro il volto più enigmatico della serata. Non rivolge una parola a nessuno. Ignora la compagnia dei suoi colleghi. E’ una giornalista, forse?” disse.

“No, in realtà sono del settore.” dissi io.

“Che settore?” chiese lui.

“Mind-sharing. Condivisione neurale. Ne ha mai sentito parlare?” dissi io.

“Oh, beh. Cara! Qui tutti hanno sentito parlare del mind-sharing. La conferenza di apertura sarà tenuta dallo stimato professor Foster. E’ il suo capo?”

“Diciamo che per il mio lavoro sono portata a riferirmi totalmente al professor Foster” Dissi io, improvvisamente accaldata.

“Il prof. Foster è una persona fortunata, se può vantare collaboratrici così valide.” disse lui.

“E da cosa intuisce che io sia così valida come dice?” chiesi io.

“Dal suo vestito.” mi rispose.

Poteva mai, quell’uomo tanto affascinante, cadere così in basso? Cercai di capire meglio e mentre il mio vestito ritornava a essere completamente impenetrabile gli chiesi “che intende, si spieghi meglio!”

“Il suo vestito è un prototipo di circuiti neurali che si collega con la sua mente. Il fatto che lei sappia dominare questa tecnologia è segno che lei è una persona estremamente intelligente e capace di resistere all’interfaccia esterna. Sbaglio?”

Scoppiai a ridere. Tornai a rilassarmi. Quell’uomo era attraente oltre misura. Il mio abito stava iniziando a mostrare dettagli del mio seno privo di intimo. Era chiaro che la mia volontà stava cedendo alla mia eccitazione.

“Non è tanto difficile, dopo un po’ ci si abitua.” Dissi io.

“Così come ci si abitua ad ogni cosa, non crede?” disse lui.

“Non ho avuto il piacere di sentire il suo nome…” chiesi io, interessata e emozionata.

“Adam. Professor Adam Lloyd. Fisico delle particelle.” rispose lui.

“Il diretto superiore dei due ragazzotti di prima…” capii immediatamente.

“Fino ad un momento fa ero il loro superiore, già…” disse. Poi prese una boccata di sigaro e sbuffò il fumo in modo corposo. Poi continuò e disse “… ma adesso non sono sicuro di essere quella persona.” concluse.

Lo guardai stranita. Gli chiesi “E che persona ritiene di essere, adesso…?”

“Una persona che, a quanto pare, sta scambiando quattro chiacchiere con la donna più bella e intelligente del mondo e che ha anche il timore che questa conversazione possa finire troppo presto.” disse.

Il mio abito cominciò a mostrare in trasparenza l’addome piatto e l’ombelico, disegnando un rombo al centro della pancia. La punta del rombo in alto indicava al centro esatto dei miei seni, ormai quasi del tutto scoperti e l’altra punta, in basso, suggeriva la possibilità che il monte di venere, il mio pube, già reso umido dalla circostanza, si rivelasse in tutta la sua intimità.

Non potevo prevedere quel comportamento. Era irrazionale. Per fortuna che nessun altro poteva vedere quello che vedeva lui. Mi aveva letteralmente rapita.

Lui lo vedeva. Sapeva di avere suscitato una tale reazione in me. Lo vidi dal suo elegante e ripetuto movimento della sua mano nella tasca, atta a cercare di sistemare l’erezione compressa nei boxer stretti. Mi lasciai andare in un breve passaggio di lingua tra le labbra e per non farmi notare bevvi un ulteriore sorso di margarita.

“Non deve finire troppo presto… se siamo noi a volerlo” risposi io, carica di una improvvisa eccitazione che durante tutta la serata non avevo ancora provato.

“Spero caldamente di no.” disse lui, per la prima volta tradendo sè stesso e scrutando in mezzo ai miei seni.

Giuro di poter affermare che in quell’istante i capezzoli si fossero rivelati. Ero io a farlo.

Lui sorrise e mi baciò la mano.

“Robin… spero di rivederla alla fine della serata.” disse Adam.

“Lo…spero anche io.” risposi, quando ad un certo punto il mio cerca-persone vibrò. Immediatamente realizzai che ero in ritardo per l’apertura della conferenza.

“Mi sa che dobbiamo andare. La conferenza ha inizio.” dissi io.

“Dopo di lei, madame.” disse Adam.

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