Spy cam /30

di Claudia Effe

Questo contenuto è riservato a un pubblico adulto. Proseguendo nella lettura dichiari di avere almeno 18 anni.

Alberto osservò l’espressione di Martina.

“C’è qualcosa che non va?”, chiese.

Martina, nuda e in catene, si sentiva già sufficientemente in pericolo.

“No, non c’è nessuno problema”, rispose; tuttavia i suoi occhi non potevano non guardare il membro di Alberto.

Pur in erezione, era il più piccolo che avesse mai visto.

Si ricordò così che Sara gliene aveva parlato, i primi tempi in cui si era sposata.

Il marito, aveva riferito, aveva un grande appetito sessuale, purtroppo non supportato dal fisico.

Involontariamente, le sfuggì un sorriso.

Alberto se ne accorse e, seguendo la direzione dello sguardo di Martina, non ci mise molto a capire i pensieri della ragazza.

“Tu stai pensando che ce l’ho piccolo, vero?”, chiese aggressivo.

“Quello non è fondamentale, è importante saperlo usare”, disse Martina, rendendosi conto subito della banalità che aveva appena pronunciato.

Difatti la frase fece soltanto infuriare ulteriormente Alberto.

“È inutile che ti arrampichi sugli specchi sperando di salvarti, zoccola del cazzo. Piccolo o meno, adesso lo sentirai dentro di te, e non me ne frega un cazzo se non ti piacerà!”.

Alberto si tolse la camicia e, a torso nudo e con i pantaloni abbassati, si accostò a Martina.

La abbracciò e la spinse verso di sé, facendo aderire i loro corpi.

“Voglio sentire tua pelle, puttana di merda”, disse Alberto.

Appoggiò la bocca su quella della ragazza, mentre lei sentiva il pene di lui insinuarsi tra le sue grandi labbra.

Alberto eseguì un rapido movimento di bacino ed entrò dentro di lei.

“Ti fai scopare per soldi, e fai ancora la difficile?”, le disse.

Martina aveva gli occhi chiusi. Sapeva che centinaia di persone stavano guardando: cercò – inutilmente – di non pensare se tra loro ci fosse qualcuno che conosceva.

Senti la lingua di Alberto entrare dentro la sua bocca.

Era legata, non avrebbe comunque potuto sottrarsi, così decise di assecondarlo.

Anche la sua lingua si intrecciò con quella di Alberto, quindi rilassò i muscoli del bacino e accolse completamente il membro di lui.

Alberto le pose le mani sui glutei e, così facendo, coordinò il suo movimento con quello della ragazza.

Ci mise forse cinque minuti a venire, minuti durante i quali nessuno dei presenti fece una parola.

Erano tutti come ipnotizzati da quel rapporto selvaggio, ma allo stesso tempo sensuale, che si stava consumando davanti ai loro occhi.

Alberto venne senza emettere un suono, si limitò a sospirare a lungo e a fermarsi.

Rimase ancora qualche secondo dentro Martina, quindi le diede un ultimo bacio sulle labbra e uscì da lei.

Si voltò e, senza degnare di un’occhiata gli altri presenti, si rivestì.

Rimase qualche secondo in silenzio, forse per riprendere fiato o forse per riordinare le idee, quindi si rivolse ancora a Martina: “La tua punizione non finisce qui, puttana”.

Tornò verso il mobile ed armeggiò nuovamente nel cassetto.

Ne estrasse un lungo cavo, simile a un filo da pesca ma decisamente più spesso, alle cui estremità erano fissate due clips.

Si avvicinò a Martina, si inginocchiò e applicò una delle clips al labbro destro della ragazza; quindi ripeté la stessa operazione su quello sinistro.

Solo quando guardò verso il basso Martina si accorse che, proprio tra le sue gambe, piantato nel pavimento c’era un gancio.

Alberto prese il cavo al centro e, lentamente, lo distese verso il basso.

Le labbra di Martina si allungarono, trascinate dal movimento.

Martina trattenne il fiato, mentre Alberto fissava il cavo al gancio.

Le sue labbra si erano estese di diversi centimetri.

Alberto si alzò e la guardò, regalandole un sorriso beffardo.

“Sei un po’ scomoda, vero puttana?”.

Martina annuì.

“Pensa come potresti stare peggio, se solo io facessi così”.

Allungò la mano verso la pancia di Martina e la toccò con un dito, appena sotto l’ombelico.

Martina istintivamente si piegò, allungando ulteriormente le sue grandi labbra e sentendo una fitta all’inguine.

Alberto rise soddisfatto: “Per adesso sarò buono e mi limito a lasciarti così, ma vedi di non emettere un solo suono, o manderò qualcuno a farti il solletico”.

Si voltò su se stesso e guardò verso il gruppo degli altri, quasi come se si accorgesse solo in quel momento della loro presenza, quindi puntò l’indice verso Loredana.

“Vedo che le puttane non mancano qui. Tocca a te!”.

Loredana sentì il cuore perdere un battito.

“Alzati in piedi e spogliati. Muoviti”, le ordinò Alberto.

Loredana, tremante, si alzò e cominciò a slacciarsi la camicetta.

Aveva visto quanto appena capitato a Martina e non poteva domandarsi che cosa sarebbe successo a lei. Guardò verso la sorella, che tuttavia sembrava molto serena. Le sorrise e le strizzò l’occhio.

Si liberò dei pantaloni, quindi guardò verso Alberto.

“Tutto! Devi toglierti tutto!”, Le urlò contro l’uomo.

Loredana sospirò e rapidamente si privò anche della biancheria intima.

Istintivamente le venne da coprirsi il seno e il pube, pur consapevole che di li a poco chiunque avrebbe potuto vederla integralmente.

Alberto la guidò verso la parete opposta, dove si trovava un oggetto che, a prima vista, le era sembrato una sedia.

Lo era probabilmente stata, ma dell’oggetto originario rimaneva soltanto l’intelaiatura, poiché la seduta era stata rimossa.

“Siediti”.

Loredana eseguì l’ordine, un po’ a disagio a causa dell’assenza di un piano su cui poggiare il sedere.

Alberto prelevò delle corde e con queste legò prima polsi di Loredana dietro allo schienale, quindi le fissò le ginocchia e le caviglie alla struttura metallica della sedia.

Le ginocchia, legate agli angoli, le imponevano di tenere le cosce aperte.

Loredana non avrebbe potuto muovere un muscolo.

Alberto si allontanò dalla sua vista e quando tornò lo fece spingendo un piccolo carrello. Sopra erano visibili dei cavi e qualche apparecchiatura elettronica.

Alberto posizionò il carrello accanto a Loredana e cominciò ad armeggiare.

Svolse un cavo verso Loredana, e la ragazza notò con preoccupazione come alla sua estremità ci fosse un piccolo morsetto.

Alberto le strinse un capezzolo tra le dita, quindi vi applicò sopra il morsetto.

Loredana si lasciò sfuggire un gemito.

Alberto, sempre in silenzio, ripetè l’operazione con l’altro capezzolo.

Loredana questa volta non disse nulla, preoccupata che il suo supplizio sarebbe andato oltre il dolore dei morsetti.

Alberto si accostò con un terzo cavo.

Le passò un dito tra le grandi labbra, le scoprì il clitoride e con precisione vi applicò sopra un altro morsetto.

Questa volta Loredana urlò.

Alberto le sorrise, ma non era un sorriso dolce.

Prese altri due morsetti, e questa volta li applicò ai mignoli dei piedi, uno per parte.

“Sai a cosa servono questi?”, le chiese.

Loredana fece segno di no con la testa.

Alberto non rispose, ma allungò una mano verso l’apparecchio appoggiato sul carrello e premette un tasto.

Loredana sentì una scossa elettrica attaccarle i capezzoli e urlò istintivamente.

La scossa terminò subito e la ragazza riprese fiato.

Alberto si rivolse ad una telecamera.

“Loredana è collegata a questo generatore – disse appoggiando la mano sull’apparecchio – e il generatore è connesso in Internet. Chi sta guardando in questo momento ha ora la possibilità di acquistare dei gettoni. Costano cinquanta centesimi l’uno; ad ogni gettone usato, Loredana riceverà una scossa ai capezzoli, alla figa o ai piedi. Quanti sono connessi ora, Luca?”.

Luca consultò nuovamente il tablet.

“Poco più di milleduecento”, rispose.

Loredana spalancò gli occhi.

Potenzialmente, milleduecento scosse – e forse anche il doppio o il triplo – avrebbero potuto attraversarle il corpo.

Alberto le lesse in volto la preoccupazione.

“Sono tante scosse, amica mia. Per questo motivo, ti offro una via di fuga. Quando sentirai che non ce la farai più, basterà urlare Pompino!”.

Loredana lo guardò interrogativa.

“Quando urlerai, io disconnetterò l’apparecchio e tu farai un pompino a uno di noi. Per tutta la durata del rapporto, nessuno ti potrà fare del male”.

Le fece una carezza in volto, ma lo sguardo non era affettuoso.

Loredana provò a liberarsi, ma i legami erano troppo forti.

Alberto richiamò l’attenzione di Luca e gli disse: “Abilita i gettoni. Cominciamo ora, dura venti minuti!”.

Loredana trattenne il fiato, e quando per qualche secondo non successe nulla una parte di lei si illuse che lo spettacolo fosse troppo cruento e nessuno avrebbe azionato l’apparecchio.

Una prima scossa ai capezzoli la fece sobbalzare e le tolse l’illusione.

Una seconda, tra le gambe, la fece urlare; così come quando l’elettricità le attraversò i piedi.

Non avrebbe potuto resistere a lungo, ma neppure voleva cedere subito.

Altre scosse la attraversarono.

I muscoli si contrassero in spasmi involontari e sentì il corpo andarle in fiamme.

Alberto la guardava sogghignando; Martina, poco distante, si chiedeva se lei sarebbe stata in grado di sopportarlo.

Guardò verso le sue grandi labbra, distese di qualche centimetro, e realizzò che sarebbe stata una lunga giornata.

Loredana urlò ancora, inarcando la schiena e cercando invano di sottrarsi a quel tormento.

Le bruciavano i capezzoli e si domandò se il suo clitoride avrebbe mai potuto provare ancora piacere.

Un’altra scarica.

“Pompino! Pompino!”, urlò.

Alberto premette un tasto sul generatore e la sofferenza di Loredana cessò.

La rumena abbandonò la testa sul petto, sorretta dalle corde, respirando in maniera affannosa.

“Vieni Luca”, disse Alberto.

Luca si portò davanti a Loredana e si liberò dei boxer.

Il pene era già in erezione.

Loredana non lo guardò neppure: aprì la bocca e lasciò che il membro di Luca le scivolasse dentro.

Doveva farlo durare. Più a lungo sarebbe durato, più tardi sarebbe ripresa la sofferenza.

Luca, però, non sembrava dello stesso parere, e muoveva il bacino in modo da far sì che il suo organo sfregasse anche contro il palato di Loredana.

La rumena contava mentalmente; tre minuti potevano essere passati.

Luca le mise una mano sulla nuca per guidarle il movimento.

Teneva gli occhi chiusi e il respiro era affannoso.

“Tu mi piaci tanto, Lory”, disse sottovoce.

La ragazza interruppe per un istante il lavoro, domandandosi se avesse sentito bene, ma la mano di Luca la spinse a proseguire.

“Lory”…”, disse di nuovo, poi venne.

La bocca di Loredana si riempì di sperma; le venne da tossire, poi inghiottì.

Luca le fece una carezza sul volto, poi indossò nuovamente i boxer.

Una scarica elettrica sul clitoride riportò Loredana alla realtà.

I venti minuti durarono come ore per Loredana, ma terminarono.

Alberto battè le mani soddisfatto e spense il generatore.

Loredana era stremata: oltre a Luca, aveva elargito un rapporto orale anche a Lorenzo e al ragazzo di colore di cui non sapeva il nome, e tutti le erano venuti in bocca.

Il corpo le doleva ovunque, soprattutto sotto alla pianta dei piedi, e le girava la testa.

Alberto le staccò i morsetti dal corpo con professionale freddezza, come fosse un medico, quindi la liberò dalle corde.

La ragazza fece per alzarsi, ma vacillò.

Luca scattò avanti e la prese in braccio prima che lei cadesse, stringendola a sé.

La accompagnò fino dall’altra parte della stanza, quindi la posò a terra con delicatezza.

“Io e te dobbiamo parlare”, gli disse Loredana sotto voce.

“Non ora”, rispose lui controllando se Alberto stesse guardando.

L’uomo, però, aveva portato lo sguardo sull’ultima ragazza rimasta.

“Cosa succederà ora alla piccola Alina?”, chiese con un ghigno.

***

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