Tentazioni

Questa è la parte 1 di 1 della serie Tentazioni
  • Tentazioni

Questo contenuto è riservato a un pubblico adulto. Proseguendo nella lettura dichiari di avere almeno 18 anni.

Attenzione: in questo racconto sono presenti nomi e cognomi di alcuni personaggi. Si precisa che nomi e cognomi sono di pura fantasia, inventati dall’autore: ogni somiglianza o apparente riferimento a persone realmente esistenti o esistite è da considerarsi del tutto casuale e involontario. Il racconto è puramente frutto della fantasia dell’autore.

La più classica delle tentazioni: sesso per soldi. Una proposta elegante, semplice, attraente. Accettare? Rifiutare? Mentire? E che cosa cambia, poi?…

Capitolo 1 – Dal notaio

“Per piacere, signor Torre, una firma in ogni pagina. Leggibile, mi raccomando”, disse il notaio.

Davanti a lui il signor Torre, un uomo prossimo ai cinquanta, stempiato e con diversi chili di troppo, impugnò la penna ed ebbe un attimo di esitazione. Sembrò andare con la mente ad un luogo molto distante da lì, poi scosse la testa come a scacciare quel pensiero e appose la sua firma sui fogli che il pubblico ufficiale gli aveva appena presentato.
Il notaio si fece restituire la penna, quindi prese un assegno circolare e lo consegnò al signor Torre.
Era un assegno da un milione e cinquecentomila euro.

“Bene, signor Torre – disse il notaio – ora la **** Srl non è più sua e può ritenersi libero da impegni. Congratulazioni”.

Il notaio si alzò in piedi, strinse la mano prima al signor Torre e poi agli acquirenti, due uomini orientali che non avevano proferito parola per quasi tutto l’atto, limitandosi a confabulare con il loro interprete.

“Ora, signor Torre, si fermi con Veronica, la mia assistente che siede qui accanto, per le ultime formalità”.

Le ultime formalità, come le chiamava lui, erano il pagamento della sua parcella. Veronica, una ragazza di ventisette anni dalla carnagione olivastra e i lunghi capelli ricci, si alzò in piedi e lo invitò a seguirla.
Il signor Torre seguì il ticchettio di tacchi fino ad una piccola stanza che si apriva sul lungo corridoio dello studio notarile. Lì c’era una scrivania abbastanza spoglia, occupata solo da un paio di cartelline. La ragazza si sedette al tavolo, aprì la prima in alto e senza ulteriori formalità avvicinò la fattura al cliente.

“Può intestare l’assegno al notaio Lanzo”, disse.

Il signor Torre estrasse il blocchetto degli assegni.

“Datemi solo il tempo di versare il circolare”, disse compilando l’assegno.

La ragazza davanti a lui non fu turbata da quella richiesta; non era la prima volta che le capitava.

“Non c’è problema, metta pure la data della prossima settimana, così è più tranquillo”.

L’uomo sorrise, firmò l’assegno con scrittura zoppicante e lo porse alla ragazza, la quale lo pinzò all’interno della cartellina; quindi prese la fattura, vi appose il timbro “pagato” e la consegnò all’uomo davanti a lei.

“Ora, signor Torre, può fare tutto quello che vuole nella sua vita, non ha più impegni. Come si sente?”, chiese lei, forse solo per fare un po’ di conversazione.

L’uomo fissò un punto imprecisato alla destra della donna; come prima, sembrava essere perso nei suoi pensieri. Poi sospirò.

“Sa, signorina, una parte di me si sente ancora in colpa. Questa era l’azienda di famiglia, ci avevano lavorato prima mio padre e suo fratello, poi io per più di trent’anni. Non so se ho fatto bene a venderla”.

Veronica cercò di sdrammatizzare: “Però ora potrà alzarsi al mattino all’ora che vuole e non dovrà più andare a lavorare. Cosa farà, una vacanza?”.

L’uomo alzò le spalle: “Vacanza… non saprei. Non saprei neppure con chi andare”.

Veronica si pentì di aver iniziato quella conversazione. Non era la prima volta che vedeva quel cliente, si erano incontrati già diverse volte quando si trattava di definire gli estremi della vendita. Sapeva che si era separato dalla moglie tre anni prima e che non aveva figli.

“Non saprei – disse lei sforzandosi di sorridere – a volte anche andare in vacanza da soli fa bene, può essere rigenerante”.

L’uomo si alzò, sorrise e le porse la mano: “Qualche cosa farò, devo solo abituarmi all’idea di non andare più in azienda tutte le mattine. Ma la natura umana è così, no? Ci si abitua ai cambiamenti”.

Veronica si alzò in piedi anche lei e gli porse la mano: “Sicuramente non si pentirà della sua scelta, ne sono certa”.

Il signor Torre sciolse la stretta di mano e uscì dall’ufficio.

Veronica aprì nuovamente la cartellina e controllò che ci fosse tutto. Non appena la richiuse, sentì bussare nuovamente alla porta.
Quando la porta si aprì, vide che era nuovamente il signor Torre.

“Buongiorno – lo salutò – abbiamo dimenticato qualcosa?”.

L’uomo fece solo un passo dentro alla stanza, rimanendo in piedi.

“No, no. Avevo però una cosa da chiederle”.
“Mi dica”.
“Riguardo alla vacanza di cui parlavamo poco fa, lei verrebbe con me?”.

Veronica diventò rossa, non si aspettava una proposta del genere.
Doveva trovare la maniera di rifiutare senza essere sgarbata.

“Mi piacerebbe fare una vacanza, ma devo lavorare. E poi non penso che il mio fidanzato sarebbe d’accordo!”, aggiunse con un risolino.

L’uomo davanti a lei annuì: “Certo, lo immagino. Però le voglio fare lo stesso una proposta. Le propongo di scegliere lei la destinazione della vacanza. Mauritius, Seychelles, Messico, per me non fa nessuna differenza. Ho passato tutta la vita a lavorare e per me tutti i posti sono nuovi”.

Veronica rimase a guardarlo, chiedendosi come mai l’uomo non avesse capito che a lei la proposta non interessava.

“La vacanza la pagherò io, ovviamente; in più, le darò cinquemila euro al giorno”, aggiunse il signor Torre.
“Scusi, devo aver capito male…”, domandò Veronica.
“No, ha capito bene. Andremo in vacanza dove vorrà lei, e per la durata di questa vacanza lei prenderà cinquemila euro al giorno. Pensavo a dieci giorni di vacanza, che ne dice?”.

Veronica non sapeva cosa rispondere. La cosa migliore da fare era di prendere tempo.

“Guardi, la proposta che mi ha fatto è interessante. Però voglio pensarci bene, voglio darle una risposta sensata. Mi lasci qualche momento per riflettere”.
L’uomo annuì: “Certo. Lei ha il mio numero di telefonino, mi chiami quando vuole”.

Capitolo 2 – Marina

Marina ascoltò il racconto di Veronica in silenzio, sorseggiando ogni tanto dal bicchiere di aperitivo analcolico che aveva di fronte. Era stata convocata con urgenza dall’amica d’infanzia, che ora le stava raccontando dell’insolita proposta ricevuta quel pomeriggio.

Marina prese un salatino da una ciotola, quindi disse: “Io accetterei”.

Veronica sgranò gli occhi: “Accetteresti? Ma tu hai capito di cosa stiamo parlando? Questo con cinquemila euro al giorno mica vuole portarmi con sé per compagnia. Dovrei almeno dargliela, e anche più volte!”.

La ragazza alzò le spalle: “Questo è ovvio. Però sono cinquantamila euro alla fine della vacanza, Vero. Guadagneresti in dieci giorni il doppio di quello che prendi in un anno. Tanto cosa potrà mai capitarti? Gliela dai un paio di volte al giorno, forse anche solo una, se va bene non saranno neppure venti minuti in tutto, e poi ti godi la vita”.

“È facile per te, è mica tua la passera di cui stiamo parlando!”, ribatté Veronica.

“Lo so, certamente. Però, parlo per me, mi è anche capitato di andare con degli uomini che, con il senno di poi, non erano un granché, e l’ho fatto sempre gratis”.

Veronica la guardò in silenzio.

“Con Paolo ti copro io – proseguì l’amica – Gli dici che siamo in vacanza assieme e il problema già si risolve così. Non mi ha mai telefonato nella vita; se mai dovesse farlo in quei giorni io non gli rispondo e poi, alla fine della tua vacanza, gli mando un messaggio con cui gli dico di aver lasciato il telefonino a casa per non essere disturbata”.

Veronica scosse la testa.

“Non è solo quello. È che non sono fatta per cose del genere”, obiettò.

“Non eri fatta neppure per lavorare dal notaio, visto che abbiamo fatto entrambe lo scientifico, eppure lo stai facendo. Non credo ti chiederà di fare cose che non hai già fatto più e più volte nella vita…”, disse facendole l’occhiolino.

“Ho capito. Ma se poi mi fa schifo? Se non mi piace?”.

“È così orrendo ‘sto tipo?“.

“No. Insomma, ha una cinquantina d’anni, un po’ tondetto, stempiato”.

“Si lava? Perché quello potrebbe essere un problema serio”.

“Penso di sì. È sempre venuto in studio ben vestito e curato”.

“Spegni la luce – continuò Marina – immagina di essere a letto con George Clooney e il gioco è fatto. Magari non ti farà strillare di piacere, però non sarebbe né il primo né l’ultimo, credo”.

“No, certo…”, rispose Veronica.

Marina guardò l’ora, a significare che doveva andare.

“Io fossi in te ci penserei. Anzi, se tu gli dici di no, ci vado io, a scatola chiusa”.

Si alzarono e uscirono dal locale.

Capitolo 3 – Pensieri

A meno di un metro da lei, seduto in poltrona, c’era il suo fidanzato.
Era circa un anno che abitavano assieme, le cose erano andate bene fin dal principio.
Era proprio il fatto che tutto andasse bene a turbare Veronica. Avesse avuto dei dissapori, dei litigi, sarebbe stato più facile anche solo valutare la proposta del signor Torre. Invece così le sembrava di correre dei rischi inutili.
Anche se quello non era un tradimento.
La questione non era frequentare un’altra persona o innamorarsi; in questo caso era più simile ad una transazione di affari.
Sì, certo, chissà che cosa ne avrebbe pensato Paolo, allora…

Non poteva però negare che una parte di lei era anche lusingata da quello che le era capitato. Il signor Torre aveva un mucchio di soldi, non aveva una famiglia, avrebbe potuto chiederlo a chiunque, invece aveva scelto lei.
Forse aveva scelto lei anche perché era sempre stata gentile con lui; e poi non era neppure da buttar via come donna, quello sicuramente no.
“Paolo, ho visto Marina questo pomeriggio, mi ha chiesto se voglio andare dieci giorni in vacanza con lei”, provò a sondare la ragazza.
Il ragazzo sembrò svegliarsi dal torpore che lo aveva avvolto.
“Lei è sempre senza fidanzato, vero? E così chiede a te”, rispose Paolo con una punta di acidità.
“Che vuoi farci? Prima o poi troverà anche lei quello giusto, però non le va di andare in vacanza da sola”.
Paolo si stiracchiò e si alzò per andare a prendere qualcosa da bere.
“Fai pure, se ti fa piacere. Ma con il lavoro come fai?”.
“Ho tanti giorni arretrati dallo scorso anno, più volte mi hanno invitata a farli, non è sicuramente un problema”.
Quello era vero: doveva ancora fare dodici giorni di ferie dall’anno precedente e il notaio stesso le aveva detto di prenderseli a breve.
Paolo tornò dopo aver richiuso il frigo.
“Tanto io non posso prendere giorni – disse stappando una birra – Se pensi che le faccia piacere vai”.

Più tardi, Veronica non riusciva a prendere sonno.
Paolo, accanto a lei, russava; lei era sveglia come se fossero state le quattro del pomeriggio, anziché del mattino.
C’era un’altra cosa a cui pensava. Con quella cifra, il signor Torre avrebbe potuto ambire a qualcosa di meglio. Magari non per fare la vacanza, ma sicuramente qualche serata avrebbe potuto farla anche con donne più belle di lei.
Qualche mese prima Veronica aveva visto un sito in cui delle prostitute offrivano i loro servigi. Erano tutte bellissime, corpi stupendi e lineamenti perfetti. Con una frazione della cifra che aveva offerto a lei, chiunque avrebbe potuto garantirsi la compagnia di quelle dee del sesso per diverse sere.
E invece lui aveva chiesto a lei.
Magari l’aveva solo sparata grossa, e in quel momento si era già pentito.
Magari lei era lì a farsi mille pensieri, e lui invece se la stava ridendo di come quella ragazzina stupida che lavorava dal notaio si fosse illusa che lui avrebbe pagato una fortuna per andare con lei. Forse era così, forse lui voleva solo fare una sparata e poi raccontare agli amici: “Le donne sono tutte zoccole. Ho proposto dei soldi a una, e questa ci è stata subito”.
Si rigirò nel letto.
Ma se non fosse stato così?
Obiettivamente, non le era sembrato che lui stesse scherzando, né che fosse uno spaccone.
Magari il giorno dopo avrebbe trovato una scusa per richiamarlo e avrebbe sondato il terreno, giusto per capire se aveva cambiato idea.
Quella era la cosa migliore da fare.

Capitolo 4 –

“Signor Torre, buongiorno, sono Veronica dello studio del notaio”.
La voce dall’altra parte del telefono rispose con un certo stupore.
“Buongiorno Veronica. Sono contento che mi abbia chiamato”, disse.
Veronica si sentì avvampare e fu contenta che quella conversazione stesse avendo luogo solo per telefono e non di persona.
“La chiamo solo per dirle che la copia dell’atto sarà pronta tra circa sessanta giorni. Vuole che gliela spediamo oppure la viene a prendere lei?”.
Il signor Torre rispose spiazzato. “È lo stesso, non c’è problema. Passo a prenderlo io”.
Si percepiva dal tono di voce che non si era aspettato quel tipo di comunicazione.
Veronica cercò di prendere tempo, ritardando il momento in cui sarebbe arrivata al vero motivo per cui aveva chiamato.
“Allora segno di non spedirlo, va bene?”.
“Sì, le ho appena detto che va bene. Sinceramente, avevo creduto che lei mi chiamasse per quello che le ho detto ieri. Si ricorda, la vacanza…”.
Veronica abbassò la voce, benché non ci fosse nessuno nella stanza con lei.
“Voglio farle una domanda, signor Torre, ma voglio che lei sia sincero. Era seria la proposta che mi ha fatto?”, gli chiese.
“Certo che era seria, signorina. Perché avrei dovuto scherzare su una cosa del genere?”, rispose il cliente, quasi risentito.
Veronica chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia.
“È che sono perplessa, signor Torre. Con quella cifra lei può avere molto meglio di me. Potrebbe andare con Manuela Arcuri, con una Velina…”.
L’uomo la interruppe: “A parte che non sono sicuro che questo sia vero, io non so neppure come potrei fare a contattare una Velina. Però io conosco lei, Veronica, è una bella ragazza e mi sembra una persona a posto. Ho fatto questa proposta a lei e solo a lei, semplicemente perché mi è andata così”.
Non sembrava uno scherzo.
“E quando vorrebbe partire?“.
“Quando vuole, signorina. Tanto ormai non ho nulla da fare durante il giorno. Devo interpretare questa sua domanda come un sì?”.
Veronica si affrettò a prendere le distanze: “No, era solo per domandare. Lei capisce, è una cosa molto particolare. Io ho anche un fidanzato”.
“Me lo aveva detto e lo immaginavo, una ragazza bella come lei… però questo è un problema che deve risolversi da sola, io non posso farci nulla”, precisò lui.
“Già!”, pensò Veronica tra sé e sé. Non avesse avuto quel problema sarebbe stato decisamente più facile.
Improvvisamente, quella conversazione diventò pesante da gestire.
“Signor Torre, le chiedo scusa ma mi vogliono sull’altra linea”, inventò.
“Non c’è problema, Veronica. Spero di sentirla presto. Non voglio farle fretta, ma ho veramente bisogno di una vacanza e presto dovrò organizzarmi per partire. Mi piacerebbe farlo con lei, ma non potrò aspettare in eterno”.
“Lo capisco. La richiamerò io”, disse laconicamente, e mise giù la conversazione.

Terminato l’orario di lavoro, Veronica decise che non era il caso di tornare subito a casa. Aveva troppi pensieri per la testa e il suo fidanzato se ne sarebbe subito accorto. Quindi svoltò verso destra e si incamminò verso il centro.
Era necessario che prendesse una decisione, qualunque essa fosse, anche per rispetto nei confronti del signor Torre.
Era importante per lei mettere la parola fine a quella storia, affinché smettesse di pensare a certe cose e si dedicasse a qualcosa di più importante, ad esempio il suo lavoro e la sua famiglia.
Anche se, a ben vedere, anche la proposta del suo cliente avrebbe avuto un impatto sulla sua famiglia. Erano cinquantamila euro, non noccioline. Avrebbe potuto sistemare un po’ di cose, vivere tranquilla per parecchi mesi, anche anni se fosse stata un po’ attenta.
Certo, avrebbe comunque dovuto continuare ad andare a lavorare tutti i giorni, però avrebbe potuto permettersi cose che ora come ora erano decisamente precluse.
Come avrebbe fatto a nascondere il denaro a Paolo? Non avrebbe sicuramente potuto versare i soldi sul loro conto corrente: avevano il conto cointestato e sarebbe stato decisamente imprudente. Però nei paraggi dello studio era pieno di banche; avrebbe potuto entrare in una qualunque di quelle e aprire un conto intestato solo a lei.
Avrebbe avuto un suo Bancomat e lo avrebbe tenuto separato dall’altro. Il suo portafoglio era talmente pieno di tessere e carte che difficilmente Paolo se ne sarebbe accorto. Avrebbe potuto pagarci una spesa ogni tanto, farci il pieno di benzina. Avrebbe potuto essere quel tipo di aiuto che effettivamente cercavano, come un aumento di stipendio.
Si fermò davanti a una vetrina a guardare un completo da sera. Era bellissimo; avrebbe mai potuto permettersi anche un capo così? Il cartellino del prezzo indicava ottocento euro, una cifra decisamente proibitiva per le finanze di quel momento, ma sicuramente abbordabile nel momento in cui fosse tornata dalla vacanza.
Rimirò la propria immagine riflessa nella vetrina.
Erano motivazioni sensate, oppure stava semplicemente trovando la maniera per giustificare il fatto di voler fare la puttana? Perché alla fine era quello, aveva poco da girarci attorno.
C’erano motivazioni economiche, fuor di dubbio, ma questo valeva sicuramente anche per tutte le ragazze che tutti i giorni battono le strade. Anche loro lo facevano per denaro, mica per piacere o per vocazione. Perché avrebbe dovuto essere diversa dalle prostitute ai bordi delle strade? Per la cifra?
Si fermò al distributore automatico e comprò un pacchetto di sigarette. Fumava pochissimo, ma sentiva che quello era il momento giusto per concedersene una.
Era comunque ingiusto paragonarla a una prostituta da strada.
Intanto perché nel suo caso sarebbe stata una storia di una volta sola. Se fosse andata con il signor Torre quella sarebbe stata anche l’ultima volta; su questo doveva essere tassativa.
E poi per quale motivo la cifra avrebbe dovuto essere irrilevante? Lo chef di un ristorante a quattro stelle guadagna molto di più del cuoco di una pizzeria al taglio, e nessuno dei due si considera collega dell’altro.

Tossì il fumo della sigaretta.
Aveva già deciso, quindi?
Forse si.
Restava da capire come sarebbe stato l’impatto con il suo ragazzo. Perché da sola, elaborare i suoi pensieri per strada era facile, ma dirlo a lui sarebbe stato un altro paio di maniche.
Non gli avrebbe detto la verità, ovviamente, ma non sarebbe stato facile lo stesso.
Girò i tacchi e si diresse verso la sua auto. Se voleva parlargli, era giusto che lo facesse subito.

Capitolo 5 – Dubbio

Quando spense l’auto sotto casa, aveva nuovamente cambiato idea.
Non poteva farla sporca, era un fatto di coerenza. Con Paolo si erano detti fin da subito che il loro rapporto si sarebbe basato sulla sincerità. Senza nessuna deroga, senza nessuna eccezione. E invece lei stava meditando non solo di raccontargli una balla, ma di mentire per coprire una verità mostruosa.

Una volta sdoganata quella menzogna, avrebbe trovato la strada spianata per qualunque altra. Come avrebbe potuto rimproverargli una qualunque mancanza nel momento in cui lei stessa, per prima, avesse omesso di raccontargli una verità così rilevante?

Prese il telefonino e chiamò Marina: “Senti, ho deciso: ne parlo con Paolo. È una cosa troppo grossa da sopportare da sola, penso sia giusto dividerla con lui”.

La voce di Marina le giunse da un posto rumoroso, doveva essere in un centro commerciale o qualcosa del genere “Negativo, Vero, negativo. Non ci pensare per nessun motivo”. Sembrava perentoria.

“Marina, io non sono sicura di volergli mentire. Lui è carino con me, è sempre premuroso, non posso fargli una cosa del genere. Se gli dico di quanti soldi parliamo secondo me ci riflette”.

“A parte che ti direbbe sicuramente di no, voglio sperare. E una volta che ti dice di no, poi non puoi più inventare le scuse della vacanza con me e partire, e quindi vorrebbe dire che metti una bella pietra sopra cinquantamila euro. Ma ti dirò di più: peggio ancora di sentirsi dire di no, sarebbe che ti dicesse di sì”.

“Perché?”.

“In primo luogo perché vorrebbe dire che forse non gliene frega niente di te. Ma mettiamo pure che lui condivida l’aspetto dei soldi e consideri anche lui questa cosa solo dal punto di vista economico. Comunque tu andresti a letto con un altro, non è una cosa facile da accettare per un uomo. Si chiederebbe come sei stata, se è meglio di lui, se hai provato qualcosa. Abbiamo visto tutti Proposta Indecente, no?”.

Veronica rimase in silenzio.

“E poi c’è un’altra cosa. Se lui ti dicesse di sì, questo gli darebbe il lasciapassare per farsi qualunque donna senza nessun tipo di scrupolo. In fin dei conti, tu ti saresti scopata ripetutamente un tuo cliente, perché lui non potrebbe a quel punto farsi un’altra? Te lo ripeto, Vero, negativo su tutti i fronti”.

Marina non aveva torto.

“Pensala in questi termini – proseguì Marina – Tu non hai raccontato tutti i particolari degli uomini con cui sei stata, no? Quando stavi con Riccardo a cui piaceva che tu gli pisciassi addosso, questa cosa l’hai detta a Paolo?”.
“No, ovviamente. E non glielo dirò mai”.

“Vedi, non sempre la sincerità è una buona idea. Sono convinta che hai fatto bene a non dirglielo”.

Il rumore di fondo si intensificò maggiormente. “Vero, devo lasciarti perché qui c’è un casino pazzesco e non ti sento. Però non dirgli niente, mi raccomando! Sarebbe la fine della tua storia, o per un motivo o per un altro”.

Veronica chiuse il telefonino, scese dall’auto e si allontanò dal portone della sua abitazione. Prima di salire a casa si sarebbe fatta un’altra sigaretta, doveva pensare.

Dieci minuti dopo salì in casa e vide Paolo intento a prepararsi la borsa del calcetto. Tra i mille pensieri, si era dimenticata che era martedì e lui la sera si sarebbe trovato con gli amici.

“Senti, ho di nuovo sentito Marina, mi ha chiesto di quella vacanza”, disse subito, senza darsi il tempo di riflettere.

“Ti ho già detto che va bene – rispose lui prelevando un paio di calzini da un cassetto – Sei sicura, però, che ce la possiamo permettere?”.
Quella era un’obiezione sensata; Veronica rispose la prima cosa che le venne in mente.

“Non ci costerà nulla. Deve essere una specie di premio che ha vinto sul lavoro, è comunque pagata per due persone”.

Paolo chiuse la zip della borsa: “Allora non c’è nessun problema. Fai pure, così ti rilassi e ti abbronzi un pochino. Dove sarebbe?”.

“È ancora da decidere. Ci sono alcune opzioni, non so bene, voglio fare scegliere a lei”.

Paolo prese la borsa, si accostò a lei e la baciò. Non era un bacio appassionato, ma neppure uno di quei baci frettolosi che Veronica aveva visto scambiarsi dai suoi genitori per decenni.

“Non so se dopo esco con gli altri per una birra, non aspettarmi alzata”, le disse; quindi aprì la porta e se ne andò.

Capitolo 6 – Pensieri

Veronica si portò in bagno e aprì l’acqua della vasca. L’assenza di Paolo giungeva a proposito, si sarebbe rilassata e sarebbe rimasta sola con i suoi pensieri.

Si liberò dei vestiti, gettandoli nel cesto di vimini posto sotto il lavandino, e si guardò allo specchio. Era una bella ragazza, lo sapeva.
Si passò una mano sulla pancia, ancora piatta nonostante la scarsa attività sportiva.

E così quel corpo per il signor Torre valeva cinquemila euro al giorno? Era un bel complimento. Per poterla toccare, per poterla vedere senza vestiti, qualcuno stava pensando di darle il doppio del suo stipendio. C’era qualcosa in questo che la lusingava terribilmente.

Controllò con una mano la temperatura dell’acqua, quindi chiuse il rubinetto e si immerse. Il caldo abbraccio ricco di schiuma le trasmise immediatamente una gratificante sensazione di conforto.

Oltre al pensiero che riguardava il suo cliente, Veronica aveva passato una giornata non facile sul lavoro e il bagno caldo le sarebbe sicuramente servito per smaltire quei postumi.

Aveva sbagliato l’impaginazione di un atto e il notaio se ne era accorto soltanto durante la lettura. L’aveva mandata a ristamparlo senza aggiungere commenti fintanto che era stato in presenza dei clienti, ma una volta concluso l’atto non aveva mancato di rimproverarla. Loro si facevano pagare tanti soldi perché erano impeccabili, le aveva detto, e una leggerezza del genere minava la credibilità di tutto lo studio.

Veronica non era persuasa che quel tipo di problema avrebbe compromesso il buon nome dello studio, però era anche noto che il notaio fosse un perfezionista. Lo era anche lei, per quello odiava sbagliare e si era arrabbiata con se stessa per l’accaduto. “E’ normale – si era poi giustificata – ho tanti pensieri”.

Non poteva però negare che, non appena passata la sfuriata del notaio, aveva pensato a quanto sarebbe stato molto meno stressante guadagnarsi uno stipendio facendo del sesso. Era ovviamente un pensiero del tutto istintivo e privo di sostanza, non aveva realmente intenzione di mettersi a battere.

Sarebbe successo solo per una vacanza.

Immerse la testa nell’acqua calda e vi rimase qualche secondo. Quando riemerse, sentì una piacevole sensazione di fresco.

Scherzi a parte, cosa voleva fare?

Perché in quel momento la faceva facile: i soldi, lo stress, una volta e mai più… sembravano tanti gli elementi che potevano portarla a prendere quella decisione.
Ma il suo fidanzato? Non c’era il rischio che scoprisse tutto?

Sulla fedeltà di Marina non aveva nessun dubbio. Erano amiche da almeno quindici anni, ed erano talmente tante le volte in cui Marina si era rivolta a lei per risolverle dei problemi che non aveva alcun dubbio che questa volta la cortesia sarebbe stata ricambiata.

Avrebbe dovuto fare tante foto, facendo attenzione a non inquadrare mai il suo cliente. Ecco, avrebbe potuto fare una cosa semplice ma geniale: scattare tante foto ai paesaggi e mettere su Facebook il tag con Marina. Così Paolo, nel caso in fosse andato a vedere le foto, non avrebbe avuto dubbi che l’amica fosse con lei.
Magari con un po’ di fortuna avrebbe potuto trovare un’altra ragazza dalla corporatura simile e includerla in un angolino di qualche foto, presa da lontano. Marina era bruna con la carnagione scura, non sarebbe stato del tutto impossibile trovarne una che vagamente le somigliasse. Quella poteva essere una maniera.
Poi, a qualche giorno di distanza dal suo rientro, avrebbe fatto a Paolo un bel regalo. Avrebbe potuto inventare un premio aziendale, una cosa del genere, e gli avrebbe regalato un orologio. Al suo ragazzo piacevano tanto gli orologi, solo che non erano in grado di permettersi di quelli per cui lui era veramente appassionato. “Almeno fino ad adesso”, pensò Veronica.

Si alzò dalla vasca e si avvolse nell’accappatoio, quindi si spostò nella stanza da letto.

Avesse detto sì, nel giro di qualche giorno in quel momento della giornata avrebbe dovuto predisporre il suo spirito e il suo corpo a fare sesso con il signor Torre.

Si tolse l’accappatoio e si distese sul letto. Immaginò che lui fosse davanti a lei a guardarla.
Magari le avrebbe chiesto di far qualcosa un po’ sopra le righe, tipo masturbarsi di fronte a lui. Di solito gli uomini chiedono alle zoccole quello che le loro mogli non fanno.

Si passò una mano sulla pelle. Come avrebbe reagito al tocco di un altro?
Sentì un brivido. Sarebbe stato emozionante, sicuramente.
Lei era entrata così tanto nella mente di quell’uomo, eppure si erano visti solo qualche volta.

Prese il telefonino e pescò dalla rubrica il numero del suo cliente. Doveva chiamarlo?
Premette il pulsante di chiamata senza indugiare ulteriormente.

“Signor Torre, sono Veronica”, disse.

“Veronica! Che piacere sentirla! – disse l’uomo all’altro capo – Mi sta telefonando perché ha deciso qualcosa?”.

“Più o meno. Volevo farle delle domande”.

“Prego, volentieri”.

Veronica chiuse gli occhi. Stava imboccando una strada molto precisa.

“Se dovessi dirle di sì, come ci presenteremo lì? Le altre persone che saranno in vacanza, cosa sapranno di noi?”.

L’uomo sembrò stupito della domanda.

“Non lo so. Possiamo dire che siamo sposati, che stiamo assieme”, rispose.

“Nessuno saprà dell’accordo tra noi”, disse lei. Non era una domanda.

“No, certamente no. Che figura ci farei anche io…”, aggiunse, fermandosi quando era troppo tardi.

“…ad andare con una puttana?”, proseguì Veronica per lui.

“Non era quello che volevo dire, mi creda”, si affrettò lui ad aggiungere, fortemente imbarazzato.

“Non c’è problema, possiamo anche chiamare le cose con il loro nome”, disse lei.

Sentiva come il signor Torre fosse in quel momento nelle sue mani. Lui percepiva che tra poco lei gli avrebbe detto di sì, ed era come un cucciolo in attesa dell’osso.

“Un’altra cosa, signor Torre – proseguì lei – È fondamentale che per me questa sia la prima e anche l’ultima volta. Non voglio che ci siano altri tentativi dopo, neppure per una cena o un caffè. Io vengo con lei per i soldi”.

L’uomo all’altro capo del telefono deglutì rumorosamente. Solo in quel momento Veronica si rese conto di avergli detto esplicitamente che ci stava.

“Certo, nessuna altra volta, questa vacanza e stop. Quindi siamo d’accordo?”.

Veronica si guardò nello specchio posto accanto al letto, come a cercare conforto da se stessa.

Se non avesse detto di sì, se ne sarebbe pentita per tutta la vita.

“Siamo d’accordo”.

Capitolo 7 –

“Ho avvisato al lavoro e arrivo un poco più tardi, così ti accompagno all’aeroporto”.

Veronica sentì il cuore fermarsi, si chinò a chiudere la zip della valigia per evitare che Paolo la guardasse in volto.

“Non è necessario, posso prendere un taxi”, rispose.

Il ragazzo le sorrise: “Non è il caso che tu spenda dei soldi. Ti accompagno io, così restiamo ancora un po’ di tempo assieme”.

Veronica armeggiò con la trousse dei trucchi. Come poteva dissuadere il suo ragazzo senza che la cosa suonasse sospetta?

“Sai – proseguì lui – ho pensato che, da quando io e te ci conosciamo, è la prima volta che diamo distanti per così tanto tempo”.

“Fosse solo quello”, pensò Veronica.

Paolo si avvicinò e prese una delle borse. “Incomincio a portarla in auto, quando sei pronta vieni giù anche tu”.

Non appena il ragazzo uscì dalla porta, Veronica prese il telefonino e avvisò il signor Torre: “Il mio ragazzo mi sta accompagnando. Io e lei non ci conosciamo”.

Sedette sul letto e si sforzò di elaborare una strategia efficace. Paolo si sarebbe aspettato di vedere Marina; come fare a giustificare la sua assenza?
Il telefono le squillò in mano: era Paolo.

“Vero, dai che si fa tardi! Vieni giù!”

Veronica prese il bagaglio a mano e uscì di casa, chiedendosi se gli eventi a cui stava andando incontro non avrebbero fatto sì che quella fosse l’ultima volta in cui la vedeva.

“Sei silenziosa. Sei preoccupata?”, le chiese Paolo, e nel contempo le appoggiò una mano sulla coscia.

Veronica dovette lottare contro se stessa per non togliergli la mano; il senso di colpa le rendeva sgradevole qualunque contatto con lui.
Cosa le aveva chiesto? Perché era silenziosa?

“Niente, è che stavo pensando se ho preso tutto”.

Prese il telefonino e mandò un messaggio a Marina: “Scrivimi che hai già fatto il check in e mi aspetti dentro”.

“Ho chiesto a Marina dove si trovi – spiegò con un mezzo sorriso – Lei è sempre in ritardo”.

Dopo qualche istante il telefonino emise un tenue suono elettronico. Veronica controllò i messaggi: Marina aveva fatto quello che le aveva chiesto.

“Ci deve tenere molto a questo viaggio – commentò Veronica – è già arrivata e ha già fatto il check in”. Orientò il telefono verso Paolo in modo che anche lui potesse leggere il messaggio.

L’auto si immise nella corsia delle partenze.

“Non è il caso che stai a pagare il parcheggio – disse Veronica – tanto qualche minuto e mi imbarco”.

“Guarda che non è un problema, sono solo alcuni minuti”.

“Sono soldi buttati, ci possiamo salutare qui”, disse Veronica, indicando il marciapiede.

Paolo accostò l’auto e azionò le quattro frecce, quindi allungò una mano e carezzò il viso della ragazza.

“Lo so che sono solo dieci giorni, ma mi mancherai”, disse.

Veronica sentì la gola stringersi; ma non poteva fare niente, non giunta a quel punto.

“Dai, ne puoi approfittare per fare quello che non fai quando ci sono io. Puoi vedere dei vecchi amici, guardare lo sport in tv tutte le sere”, rispose lei, sperando di non tradirsi con la voce.

Il ragazzo annuì: “Farò così. E poi dieci giorni passano in fretta, no?”.

Veronica non riusciva a sopportare il protrarsi di quel momento; si sporse verso Paolo e lo abbracciò. Una parte di lei le diceva che era ancora in tempo a tornare sui suoi passi, ma si rispose che ormai erano troppi gli elementi in ballo.
Sciolse l’abbraccio con Paolo, gli diede un bacio e scese dall’auto. Dopo qualche passo si voltò ancora verso di lui, che la stava osservando. Gli accennò un saluto con la mano, gli mandò un bacio ed entrò nell’aeroporto.

Non appena entrò nell’ampio edificio, vide subito la coda del suo volo e, tra la gente in fila, il signor Torre. Questi le fece un sorriso, ma lei con la testa fece cenno di no. Prese il telefonino e gli mandò un messaggio: “Il mio ragazzo è parcheggiato qui fuori, ci parliamo dopo il check in”. Si sentiva veramente una merda a comportarsi in quella maniera, ma giunta a quel punto non aveva altre opzioni.

Attese pazientemente che la fila si smaltisse, quindi prese la carta d’imbarco e, espletati i soliti controlli, giunse al suo gate. Il signor Torre era seduto con una rivista in mano e le aveva riservato un posto accanto a sé.

“Mi spiace – disse Veronica – Non so cosa gli è preso, ma oggi ha voluto accompagnarmi fino a qui”.

Il signor Torre alzò le spalle: “L’importante è che sia andata bene e che ora tu sia qui. Ha sospettato qualcosa?”.

Veronica si sedette accanto a lui: “No, non ha sospettato nulla”.
Si sentiva veramente male; inoltre stava crescendo il sentimento di disagio nei confronti del signor Torre. Se lui fosse stato il suo amante quello sarebbe stato probabilmente anche un momento bello, ma in quella situazione si sentiva veramente fuori posto.

“Senta – gli disse – mi dia qualche minuto per entrare in questa nuova situazione. Lo so che non è colpa sua, ma sono un po’ scossa”.

Il suo cliente le sorrise: “Non c’è nessun problema. Abbiamo nove ore di viaggio da fare e sono sicuro che quando arriveremo saranno state sufficienti per migliorare l’umore. Però ti chiederei fin da subito di abituarti a darmi del tu . Nel caso non te ne ricordassi, io sono Mario”.

Le porse la mano come se si stessero conoscendo per la prima volta; quel gesto la fece sorridere. Gliela strinse e disse: “Piacere, Veronica”.

Si appoggiò al sedile e guardò la gente in attesa di prendere il loro stesso volo. Stavano tutti andando in vacanza, sembravano felici.

“Ah, prima che me ne dimentichi e la perda”, disse lui, frugandosi in una tasca. Ne estrasse una piccola fede d’oro.

“È quella della mia ex moglie, me l’aveva lanciata contro quando se n’è andata. Dovrebbe andarti bene; mettila, così non faremo chiacchierare le persone che incontreremo in viaggio”.

Veronica prese l’anello e lo infilò all’anulare. La misura era corretta, forse un po’ larga. Si rimirò la mano con un vago senso di disorientamento. Lei non era una di quelle ragazze che hanno il matrimonio come obiettivo nella vita; allo stesso tempo non escludeva però di sposarsi un giorno, e il candidato migliore era tutt’ora Paolo.
E ora, senza nessun preavviso, sarebbe stata la moglie di un altro per una decina di giorni.

L’altoparlante chiamò il loro volo e diligentemente si misero in coda. Sino a quando non salirono sull’aeromobile, Veronica non smise di guardarsi continuamente attorno per verificare che non ci fosse il suo fidanzato.

Paolo non era un ragazzo sospettoso, ma lei non era in grado di capire se il suo comportamento non gli avesse generato qualche sospetto. Da parte sua erano giorni che si sentiva bollire lo stomaco e non era da escludere che Paolo se ne fosse accorto.

Entrò nell’aereo e si sedette accanto al signor Torre, o Mario, come voleva essere chiamato. L’uomo si astenne dal disturbarla, forse rispettoso di quanto lei gli aveva detto poco prima.

Veronica visse con una certa apprensione il decollo – come del resto capitava ogni volta che prendeva un aereo – ma quando furono in quota, quando l’aereo bucò lo strato di nuvole e il sole fece capolino attraverso il finestrino, finalmente riuscì a sentirsi un po’ rilassata.

Ormai il dado era tratto, giunta sino a quel punto non avrebbe più potuto tornare indietro.

[Qui finisce la prima parte del racconto. La pubblicazione della seconda parte non è ancora stata programmata. Per commenti o informazioni, contattate l’autore]

di Claudia Effe

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About Claudia Effe

Visite: 256 Ciao a tutti, sono Claudia. Ho sempre desiderato scrivere, fin da piccola, ma sembrava difficile trovare la mia strada. Storie d’amore non ci riuscivo, thriller men che meno, fantascienza non mi piaceva…fino a quando non ho provato a dare parola alle mie fantasie, a quei pensieri oscuri che ti colgono quando stai per addormentarti o quando il tuo cervello i rilassa. Ho scritto i primi racconti, sono piaciuti. Ho continuato, ho trovato un mio stile e l’ho perfezionato. Ora ve li sottopongo: spero che leggerli dia anche solo la metà della soddisfazione che dà a me scriverli, perchè a me piace molto!

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