Tornando a casa

di Esperia

Categoria Tradimenti

Potete contattarmi all’indirizzo fildispada@yahoo.it

Capitolo 1

Un lieve sospetto, la sensazione che qualcosa non quadrasse del tutto. Ma non ci pensò troppo e presto lo dimenticò.

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Pasquale Antuono, detto Chicco, chissà perché, forse così lo chiamava sua madre da bambino, lavorava come area manager per l’Europa del Sud (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) per la sua azienda, specializzata in macchinari per la lavorazione di materie plastiche.
Ingegnere, quarantasei anni, parlava bene lo spagnolo, sapeva cavarsela col portoghese e, quando doveva visitare i clienti greci, si affidava all’inglese o in casi estremi a un interprete. Aveva presto compreso che quel poco di greco antico che aveva imparato al liceo classico non era per niente sufficiente nel mondo degli affari.

Quel lunedì di febbraio, nell’imminenza della sua partenza per Siviglia, dove era prevista la firma di un grosso ordine, mise come al solito al corrente sua moglie Silvia dei dettagli del suo viaggio: in quale albergo si sarebbe fermato, quali clienti avrebbe visitato, con quali colleghi della succursale spagnola si sarebbe visto.

Le disse anche di essere stato invitato alla partita Sevilla – Borussia per l’Europa League e che quindi quel giovedì sperava di dimenticare le disgrazie della sua squadra, il Milan, assistendo a un confronto ad alto livello tra due formazioni protagoniste del calcio europeo.

Chicco era amichevole, solare, allegro, benvoluto da tutti, sempre contento (forse per via delle sue origini casertane, anche se era nato e cresciuto a Milano) e non vedeva l’ora di sedersi allo stadio con i suoi colleghi spagnoli.

Contava di tornare venerdì entro sera col contratto firmato.
Invece, con sua gran sorpresa, il cliente aveva acquisito un’importante commessa e aveva una fretta pazzesca di cominciare a produrre. Necessitava i suoi macchinari al più presto e quindi voleva concludere senza ulteriori indugi. Non ci furono trattative sul prezzo e la riduzione dei tempi di consegna e di installazione fu l’unico punto di discussione. Già il martedì pomeriggio, quindi, Chicco poté contare con la firma del presidente sul contratto.

Decise a malincuore di rinunciare alla partita, preferendo tornare a casa al più presto con un contratto di diversi milioni in tasca (già stava mentalmente calcolando le sue commissioni) e riuscì a cambiare il biglietto per un volo del mercoledì mattina. Sarebbe arrivato alla Malpensa poco prima delle tre del pomeriggio.

Appena sbarcato, prima ancora di ritirare i bagagli, chiamò sua moglie al lavoro per avvertirla del cambio di programma.
– Studio Spoldi come posso esserle utile? – Era lo studio di avvocati fiscalisti dove Silvia lavorava.
– Gina?
– No, sono Erika.
– E che fine ha fatto Gina? – Gina era l’assistente di Silvia. Lavoravano insieme da molti anni ed erano molto amiche.
– È in ferie fino a lunedì. Che posso fare per lei?
– Posso parlare con la dottoressa Silvia Gianzini?
– Ah… No, lei è… Chi devo dire? – La ragazza rivelava un certo imbarazzo.
– Sono Chicco, suo marito. Ho urgenza di parlarle un minuto.
Passò un considerevole lasso di tempo, forse un paio di minuti. Era davvero sorpreso.
– Mi spiace… – Alla fine rispose Erika, con una certa esitazione nella voce – ma la dottoressa Gianzini è in riunione e non può essere interrotta. Non so dirle quando si libererà. Posso lasciare un messaggio?
– Non importa, le dica solo che ho chiamato. Tanto la vedrò stasera. – E chiuse la comunicazione.

Qualcosa non andava. La sera prima si erano parlati al telefono e Silvia gli aveva assicurato che avrebbe passato tutto il giorno in ufficio.
Possibile che non potesse parlare un minuto con lui, anche se fosse stata impegnata col più difficile dei casi?

L’altra stranezza era l’assenza di Gina. Silvia voleva Gina sempre accanto a sé, non si fidava di nessun altro. Una volta l’aveva fatta venire in ufficio anche con la febbre a trentotto e la obbligava a prendersi le ferie in coincidenza con le sue. Che lei fosse in ufficio senza Gina era davvero inconsueto.

Provò a chiamarla sul cellulare, ma scattò subito la segreteria, come se il telefono fosse spento.

Recuperò i bagagli e col treno raggiunse la stazione di Cadorna. Da lì, con la metropolitana fino a Gessate e finalmente con l’autobus scese vicino alla villetta a schiera dove abitava.

Erano quasi le sei di sera. Era tutto buio, fuori e dentro casa.

Disfò la valigia e rimise a posto i capi che non aveva usato nei cassetti e quelli sporchi nell’apposito cesto. Si mise in tuta e si accorse di sentire freddo. Controllò il termostato e vide che era stato regolato sui quindici gradi. Strano, pensò mentre lo alzava a ventidue gradi. Silvia era freddolosa e le basse temperature la mettevano di malumore.

Di solito sua moglie rientrava verso le sette, ma alle otto ancora non si era vista. Chicco si preparò qualcosa da mangiare. Trovò delle uova e le fece al tegamino. Avrebbe preferito qualcosa di più sostanzioso, poiché aveva quasi saltato il pranzo, ma la preoccupazione gli chiudeva lo stomaco.

Si mise davanti alla Tv aspettando la moglie. C’erano le partite di Champions League, ma la sua squadra non si era qualificata e quindi l’interesse era abbastanza limitato.

Il tempo passava e sua moglie non tornava. Cominciò a preoccuparsi. Se le fosse successo qualcosa? Un incidente, un malore… Però poi pensò che in quel caso qualcuno avrebbe chiamato casa per avvertire, e invece il telefono non registrava nessuna chiamata persa e nessun messaggio nella segreteria.

Provò ancora a chiamare il suo cellulare, ma lo trovò spento come il solito. Si chiese come mai. Forse un guasto? Forse scarico?

La paura che a sua moglie fosse capitato qualcosa di grave continuò ad aumentare.

Alle nove e mezza non riusciva più a stare seduto e si trovò a camminare nervosamente per tutto il salotto in preda alla preoccupazione più nera.

A quel punto squillò il cellulare. Era Silvia.
– Pronto?
– Chicco, tesoro! Stavo cominciando a preoccuparmi! Ho chiamato il tuo albergo e mi hanno detto che te ne sei andato! Tutto bene?
– Sì, sì, tutto ok. Solo un piccolo cambio di programma… Tu? Stai bene? Dove sei?
– A casa. Ho appena terminato di lavare i piatti e sono seduta in cucina con una tisana. È piuttosto triste e silenzioso, qui, la sera, senza di te. Tornerai venerdì secondo il programma? Come mai hai cambiato albergo?
– Venerdì sarò a casa, stai tranquilla. Non sono più in quell’albergo perché c’è stata un’accelerazione nella trattativa e abbiamo dovuto spostarci. Cercami sul cellulare, se vuoi parlarmi. – Intanto si guardava intorno, nella vuota e buia cucina. I piatti sporchi nel lavandino. Nessuna traccia di sua moglie.
– Niente di nuovo in ufficio? Ho cercato di chiamarti, ma non sono riuscito a fare in modo che ti passassero la chiamata.
– Ah… già. No… niente di speciale. Forse quando mi hai chiamata ero col dottor Cazzaniga. Sai, stiamo lavorando come pazzi per quel progetto dell’Eni… Franco Cazzaniga mi ha aiutata moltissimo. Ti ricordi che ti raccontavo che la trattativa per la fornitura di consulenza legale era a un punto morto e che ci avevano già mezzo buttati fuori? Bene, è stato proprio lui a trovare la via d’uscita e a suggerirmi le mosse giuste. Proprio ieri l’Eni ha annunciato che la nostra offerta è la prescelta e che dobbiamo solo modificare qualche dettaglio di scarsa importanza! Non è magnifico? Lo Studio farà un enorme salto di qualità e per me dovrebbero esserci sostanziose commissioni e probabilmente una promozione! Il capo me l’ha praticamente promessa, potrei diventare partner dello Studio! Non sai come sono contenta!
– Sono felice per te. Vorrei tanto essere a casa, con te, per festeggiare.
– Tranquillo, festeggeremo questo week end. Cerca di non tardare, eh? Sono stufa di stare sola in questa casa vuota, in questo letto così grande e freddo senza di te…

La conversazione proseguì ancora qualche minuto su argomenti di carattere domestico, prima che si salutassero.

Chicco rimase seduto in cucina, come tramortito dal numero di balle che sua moglie gli aveva raccontato. Sentiva un crampo allo stomaco, un sapore acido in bocca, un pulsare alle tempie.

Fino a pochi minuti prima aveva creduto che il suo matrimonio fosse felice e solido come una roccia, non aveva mai messo in dubbio l’amore di sua moglie, ma ora sapeva di essersi sbagliato.

Andò a letto tardissimo, ubriaco e distrutto, ma ebbe comunque difficoltà ad addormentarsi, rigirandosi per ore nel letto. Quello stesso letto nel quale Silvia aveva detto di sentirsi sola.

Si svegliò comunque alle sette con un gran mal di testa, dopo neanche tre ore di sonno. Gli occhi spalancati a fissare il soffitto e a chiedersi se non si fosse trattato di un brutto sogno.

Alle nove e mezza si rassegnò al fatto che sua moglie non sarebbe tornata. Chiamò ancora l’ufficio di Silvia, il centralino stavolta e non il diretto.
L’operatrice disse che la dottoressa Gianzini non era reperibile. Al che la informò che avrebbe chiamato più tardi.
– Mi spiace, ma credo che la dottoressa sia in ferie fino a lunedì. È inutile che la chiami prima.

Chicco ringraziò e chiuse la comunicazione. Doveva fare qualcosa e decise di muoversi. Chissà, forse avrebbe potuto saperne di più.

Chiamò l’ufficio e parlò col suo capo. Gli spiegò di avere un problema personale che lo obbligava a chiedere qualche giorno di ferie. Non ci furono problemi, visto che il contratto era già stato firmato.

A quel punto cominciò a darsi da fare.

Sua moglie non si era ancora convertita alle agende elettroniche e ogni anno comprava un organizer cartaceo e ricopiava diligentemente indirizzi e numeri di telefono. Così ritrovò l’agenda 2014 e cercò “Cazzaniga”. C’era un indirizzo di Monza. Una bella zona, vicino al Parco.

Scese nel box, scartò la Toyota Land Cruiser perché troppo riconoscibile e salì sulla sua vecchia Volvo V60 canna di fucile, più anonima.

Si diresse verso l’ufficio di sua moglie, a Milano, zona Loreto, ma nel parcheggio antistante riservato allo Studio la Mini tre porte rossa della moglie non c’era.
Puntò allora dritto verso Monza.

Seguendo il navigatore, presto si trovò in un quartiere elegante: palazzi di lusso, molto verde, ville esclusive.
All’indirizzo di Cazzaniga corrispondeva una palazzina di due piani e solo quattro appartamenti, con grandi balconi, che d’estate doveva rimanere quasi totalmente nascosta dalla fitta vegetazione del grande giardino.

La piccola e rossa Mini di Silvia era parcheggiata quasi davanti al cancello. Sporca, come se nessuno l’avesse spostata da giorni. Gli si annebbiò la vista e fu costretto a fermarsi per asciugarsi gli occhi.

Guardò l’orologio. Ormai era mezzogiorno passato. Decise di trovare qualcosa da mangiare nelle vicinanze per far passare il tempo.

Trovò una pizzeria, ma fece fatica a inghiottire il cibo. Più della metà della margherita che aveva ordinato rimase nel piatto. Non avrebbe saputo dire che sapore avesse.

Centellinò la birra per arrivare alle due e mezza, quindi ritornò all’indirizzo di Cazzaniga. La macchina della moglie era ancora lì.

Aspettò fino alle tre e mezza, ma nessuno salì sulla Mini. Lentamente, guidò verso casa, la mente in subbuglio. Non sapeva cosa fosse rimasto del suo matrimonio, della vita felice che aveva condotto fino alla sera prima. Si chiese se sarebbe mai riuscito a sorridere ancora.

La sera, solo a casa, fu un incubo. Si trovò a vagare per le stanze come un fantasma. Non riuscì a decidersi a cucinare per cui si arrangiò con qualche salatino, un avanzo di formaggio e un succo di frutta.

Verso le nove e mezzo di sera ecco la solita rituale telefonata di Silvia.
Allegra e spiritosa lo informò che nulla di nuovo era successo e gli ripeté come lui non avesse idea di quanto vuoto e solitario le apparisse il loro letto senza di lui. Chicco grugnì qualcosa, come a dire che no, non aveva idea di quanto le potesse apparire grande, freddo e vuoto. Lei rispose di non capire e gli chiese cosa intendesse. Lui bofonchiò qualche frase di circostanza, chiarendo che poteva immaginare quanto lei si sentisse molto, molto sola nel letto.

Prima di chiudere la comunicazione le dichiarò il suo amore e le ricordò, con voce commossa, che l’amava più della sua stessa vita.

Si attaccò di nuovo alla bottiglia di amaro per poi virare sul limoncello e finì a letto dopo mezzanotte, confuso dall’alcol e autocommiserandosi senza riuscire a dormire. Sua moglie provava ancora qualcosa per lui? O meglio: aveva mai provato qualcosa per lui? Per caso stava cercando di punirlo? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Aveva forse esigenze di cui lui non s’era reso conto e che non riusciva a soddisfare? Avrebbe potuto correggersi e far meglio? Era ancora in tempo? Oppure lei già stava preparandosi a lasciarlo per questo maledetto Cazzaniga?

Si addormentò tardissimo, ma si svegliò comunque, distrutto, prima delle sette.

Rimase seduto sul divano, in ciabatte, con lo sguardo perso nel vuoto. Aveva lasciato le tapparelle abbassate e la luce spenta. Il latte era andato a male e per colazione non aveva preso che un succo di frutta e un caffè. Era ormai venerdì mattina.

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