Tornando a casa /2

di Esperia

Capitolo 2

Alle dieci avvertì il rumore del motore della Mini di sua moglie. Poi
quello della porta basculante del garage che si apriva per poi
richiudersi dopo che l’auto spegnesse il motore.

Dopo qualche minuto Silvia apparve alla porta che collegava l’anticamera al garage, trascinandosi dietro un trolley.
Dal punto in cui era seduto poté vederla bene: sommariamente abbigliata,
come se avesse pensato che non valesse la pena di rivestirsi con cura
visto che non prevedeva di uscire dall’auto se non nel garage, con un
plaid avvolto attorno ai fianchi al posto della gonna e la camicetta di
seta rosso scuro sbottonata quasi del tutto. Il piumino sulle spalle.

Pareva fresca, rilassata, appena docciata, i capelli raccolti con una
forcina ancora umidi sul collo. Al quale aveva la collana d’argento con
motivi Inca e una pietra dura che lui le aveva comprato da H. Stern
durante una vacanza in Perù e che le era costato uno sproposito. Le
stava d’incanto.


Passando, Silvia diede un’occhiata in cucina e si fermò di botto vedendo stoviglie sporche accumulate nel lavandino.
Chicco, infatti, non si era preoccupato di riassettare dopo la colazione né dopo la sbornia della sera prima.
Non le sfuggì neanche che la macchina per il caffè espresso fosse accesa.

Si guardò attorno, allarmata. Poi lentamente, con circospezione, entrò
in cucina come aspettandosi di trovare qualche sconosciuto. Le finestre
erano chiuse, ma un po’ di luce filtrava tra le persiane.

Passò in sala scrutando ogni angolo. Si avvicinò al caminetto e afferrò
l’attizzatoio, senza accorgersi che, seduto in poltrona, al buio, suo
marito la stava guardando sorreggendo un bicchiere di succo d’arancia.
Chicco scelse proprio quel momento per palesarsi, agitando una mano
nella penombra. Silvia quasi diede un salto all’indietro, prima di
riconoscerlo.
– Chicco! O mamma, che spavento! Quasi mi prende un colpo! Quando sei arrivato?

Chicco non rispose subito. Lasciò che il silenzio calasse tra loro per
qualche secondo, in modo che a Silvia passasse il batticuore e
cominciasse a rendersi conto della situazione.
– Un paio di giorni fa. – La sua voce, bassa e roca, non aveva niente a
che vedere con il piglio allegro che lo contraddistingueva sempre.

Silvia parve contrarsi, rimpicciolirsi. Arretrò di mezzo passo,
pietrificata dalla sorpresa. Diede l’impressione di vacillare, come se
le sue ginocchia faticassero a reggerla. Si lasciò cadere sul divano di
pelle color tabacco di fronte al marito.
– Perché non hai chiamato, santo cielo?! Non sapevo niente! Dove sei stato in questi giorni?

Chicco bevve lentamente un altro sorso di succo prima di rispondere:
– Ti ho chiamata, invece. Mercoledì pomeriggio, sia a casa sia in
ufficio ma non ti ho trovata da nessuna parte. E non c’era nemmeno Gina.
– Fece un’altra pausa, prima di continuare: – Poi hai chiamato tu e
quando ho risposto ero seduto in cucina. Ho passato la notte nel nostro
letto, che tu trovavi “grande e freddo”.

Fuori era spuntato il sole, dopo una mattinata nuvolosa, e un raggio
filtrava dalla persiana. I figli dei vicini, due maschietti intorno ai
dieci anni, cominciarono a litigare e le loro grida arrivarono attutite.
Anche un cane cominciò ad abbaiare.

Nella penombra delle persiane chiuse e delle tende tirate della sala non
c’erano altri rumori, a parte il respiro affannoso di Silvia.

Chicco terminò il suo succo e continuò:
– Chissà perché, ma faccio fatica a credere che il letto dove hai
passato le ultime notti sia stato così vuoto e solitario. Ti spiace
raccontarmi, Silvia? Mi fai capire cos’è successo?

Silvia piangeva ormai apertamente e grossi lacrimoni le scendevano sulle guance.
– Niente, Chicco! Non è niente! Sono tua moglie ed è a te che voglio
bene! Quello che è successo non ha niente a che vedere con te… con noi…
con quanto abbiamo costruito. È solo una piccola cosa che mi sono
sentita in dovere di fare, ma che non mette minimamente in discussione
il mio amore per te, Chicco, ti giuro!
– Non ha senso quello che dici, Silvia. Come può non avere niente a che
vedere con me, con noi il fatto che tu mi tradisca e mi metta le corna?
– No! No! stavo solo cercando di dimostrare riconoscenza a Franco per
l’aiuto che mi aveva dato, non c’entrano i sentimenti: mi sono sentita
in debito e ho cercato di ringraziarlo così, niente di più.

Chicco rimase in silenzio un momento, poi si alzò per raggiungere la
cucina dove si versò un altro po’ di succo nel bicchiere. Chiese anche a
Silvia se desiderasse qualcosa, ma lei scosse la testa senza alzare lo
sguardo.
Non lo alzò neanche quando Chicco ritornò a sedersi di fronte a lei.
– Va bene. Adesso spiegami bene in cosa consiste questa “riconoscenza”
verso Cazzaniga che ti ha indotta a buttare il nostro matrimonio nel
cesso. – Gli venne un pensiero all’improvviso. – Non ti ha ricattata,
vero? O sì?
– No! Cosa vai a pensare! È un uomo onesto e rispettabile, un vero
galantuomo. Non farebbe mai niente del genere! Mi ha dato un enorme
aiuto e lo ha fatto solo per senso del dovere e per solidarietà verso
una collega. Non certo perché si aspettasse qualcosa in cambio! Sapeva
che non ero stata io la responsabile del pasticcio e non era giusto che
dessero a me la colpa, così si è rimboccato le maniche e mi ha tirata
fuori dai guai.
– Capisco. Quindi, se lui non ha chiesto nulla in cambio e non è stato
lui a suggerire il sesso, sei stata tu a ficcarti nel suo letto di tua
iniziativa? È questo che mi stai dicendo? O ho capito male?
– Lo fai sembrare una cosa volgare e sporca! Non è così! Gli ho dato
solo ciò che si era meritato, ma non ha niente a che vedere con noi due e
con l’amore che ci lega, te lo ripeto, cerca di capirmi!
– Allora si è trattato di qualcosa che t’ho fatto, qualche
insoddisfazione che hai maturato nei miei confronti che ti ha spinta a
tanto.
– No! No! – Disse Silvia quasi gridando. – Continuo a ripetertelo, non
hai fatto niente di male! Si è trattato solo di un atto dovuto per
quello che Franco ha fatto per me. Anzi, per noi, per tutt’e due. La mia
promozione e il premio che riceverò beneficerà la nostra coppia,
potremo concederci una bella vacanza oppure potrai cambiare la Volvo,
non capisci? Mentre lui non ci avrebbe guadagnato nulla, così ho pensato
che si meritasse pure qualcosa, no? Non l’ho fatto certo per me!

Ci fu un altro momento di imbarazzato silenzio.
– Così, visto che ti arrabbi tanto e che mi accusi di farlo sembrare una
cosa volgare, mi stai dicendo che invece è stato qualcosa di bello e
di… “puro”? Magari meraviglioso e indimenticabile?

Silvia questa volta non rispose e abbassò gli occhi, che fino a un
momento prima le sfavillavano. Calò di nuovo il silenzio, finché Chicco
riprese:
– Ti ricordi, Silvia, quante volte t’ho detto che io t’appartenevo?
Quasi ogni volta che si faceva l’amore, dopo, te lo dicevo. Anche tu
dicevi di appartenermi. Me lo ripetevi senza neanche che te lo
chiedessi. – Pronunciò queste parole con calma, con voce piatta e
monotona, ma sua moglie colse un lieve tremito.
– Certo, Chicco! Me lo ricordo bene! Non è cambiato niente, io sono
ancora completamente tua, come prima, più di prima. Quello che è
successo non c’entra con noi, è qualcosa al di fuori, separato,
staccato, diverso!
– Come fai, Silvia, a non vedere! A non vedere la contraddizione. Hai
dato volontariamente e coscientemente a un altro uomo la cosa più
importante che avevo e che credevo solo mia, la cosa di cui ero più
orgoglioso al mondo: te stessa! Non posso credere a ciò che sento: mi
pare di capire che tu non dia molta importanza al sesso e che sia
disponibile a farlo per i motivi più futili. Comincio anche a credere
che tu abbia dovuto pregare Cazzaniga di venire a letto con te. O
sbaglio? Rispondi prima a questo, e poi dimmi che ciò che è successo è
una cosa che non ha a che fare con me, se ci riesci.
– Chicco, io sono sempre la stessa persona e sono qui con te e per te!
Quello che è successo non ha importanza! Non ho smesso di essere tua! –
Singhiozzò.
– Tutto ciò che facciamo, ogni azione che compiamo ci cambia, mia cara.
Sei appena tornata dopo aver passato tre o quattro notti nel letto di un
altro uomo. – Fece una pausa per ristabilire la voce che si stava
rompendo in un singhiozzo. – Con lui hai senz’altro fatto cose,
scambiato intimità che avresti dovuto riservare a me, a qualcuno che
ami. Invece… – A questo punto la voce gli si ruppe. – Quante altre notti
hai passato con lui?? Solo queste o ce ne sono state altre? E quante?
Quante altre volte ti sei fatta scopare, magari in ufficio? – Si asciugò
le lacrime, ma era fatica sprecata. Altre gli scesero copiose sulle
guance. – Scusa, Silvia, ma non posso fare a meno di chiedermi con
quanti altri uomini ti sia “sdebitata” in tutti questi anni! E quanti ne
abbia “premiati” dando loro ciò che era mio, come se non fosse di alcun
valore!

Silvia non riusciva più a proferir parola, pietrificata. Pareva come
rattrappita in sé stessa, i gomiti stretti lungo i fianchi, le spalle
curve, le mani a coprirsi la faccia, mentre comunque continuava a
scuotere il capo come a negare, a non voler prendere coscienza di ciò
che aveva fatto.

Il lungo momento di silenzio pareva non finire mai. L’uomo seduto con
aria sconsolata di fronte alla donna in preda alla disperazione. Non si
sentiva volare una mosca in casa. Gli unici rumori provenivano da fuori.
Suoni banali, di tutti i giorni, il ticchettio dei tacchi di una vicina
sull’asfalto, una moto in lontananza, un aereo diretto all’aeroporto di
Linate. Il mondo esterno pareva continuare come sempre, del tutto
ignaro del dramma che stava avendo luogo in quel salotto.

Chicco posò il bicchiere e continuò:
– Non so cosa fare, non so che ne sarà di noi. Ti guardo e capisco di
volerti bene come prima, quanto te ne volevo lunedì prima di partire. Ma
sono sconcertato: continui a ripetermi che il tuo tradimento non è
nulla, che non ha niente a che fare con la nostra coppia e allora
capisco che tu non ti rendi conto di quello che hai fatto, che MI hai
fatto. Ho perso la fiducia in te, Silvia. E non so se riuscirò mai a
crederti ancora. Ogni volta che uscirai, ogni volta che suonerà il
telefono, ogni volta che farai tardi, anche se avrai tutte le ragioni
del mondo io non potrò fare a meno di chiedermi se tu non stia per caso
“sdebitandoti” con qualcuno. E che dire di quando dovrò viaggiare per
lavoro? Con che preoccupazione pensi che partirò?

Si fermò, poi riprese senza guardarla, come se parlasse a sé stesso:
– Che non ti venga in mente di suggerire che anch’io debba avere
un’avventura, tanto per pareggiare i conti, eh? Se lo farai avremmo
chiuso. Primo, se tu attribuissi così poco valore alla mia fedeltà tanto
da rinunciarci spensieratamente, allora vorrebbe dire che abbiamo
proprio una scala di valori completamente diversa e che non siamo
compatibili nelle cose che contano. E, secondo, due sbagli non producono
una cosa giusta. Due sbagli provocano uno sbaglio ancora più grave
della somma dei due.

Si alzò lentamente e si diresse verso la finestra. Abbracciò con lo
sguardo il suo curatissimo pezzetto di prato col barbecue in un angolo,
coperto da un telo in attesa della bella stagione.

Riprese a parlare, ma questa volta la sua voce aveva un tono più duro e le parole gli uscivano a fatica:
– Ti vorrei prendere per il collo e scuoterti, scuoterti forte, fino a
farti sbattere i denti. Non ho mai voluto far del male ad una donna,
meno che meno a mia moglie. Ma ora… Per non parlare di quello che vorrei
fare a quel Cazzaniga. Digli di starmi lontano e di non farsi trovare
da me. Mi dovesse vedere in lontananza, meglio che cambi marciapiede.
Non rispondo di me, anche se le tue spiegazioni suggeriscono che sia
stata tu a sedurlo.
Silvia scosse la testa come a negare, ma non disse nulla.

Chicco continuò implacabile:
– Sì perché non so se ti rendi conto delle implicazioni. Mi hai detto
che non è stata una sua idea, ma ora che ti ha “assaggiata” e si è
trovato la tua passera su un piatto d’argento senza nessuno sforzo, si
aspetterà che tu sia disponibile tutte le volte che vorrà in futuro.
Anche se gli dovessi spiegare le tue ragioni, ti considererà sempre una
donna facile, non credi?

Silvia fece per replicare, ma Chicco la zittì alzando una mano.
– Magari potrà credere che non la daresti a cani e porci, ma per lui tu
sarai sempre una da prendere tutte le volte che ne avrà voglia. E alla
fine perderà la stima e il rispetto per te e anche nel lavoro finirai
per pagarla cara.

Poi continuò, la sfiducia negli occhi:
– Se vuoi, anzi, se vogliamo che questo nostro matrimonio torni a
funzionare dobbiamo essere preparati a vivere ora per ora, giorno per
giorno, settimana dopo settimana come se fosse l’ultimo per poter
riaprire uno spiraglio di comunicazione e di fiducia tra di noi.
Dobbiamo essere ferocemente determinati e pronti a riprenderci da
infinite delusioni, infiniti momenti di difficoltà, infiniti passi
indietro. E a poco a poco ricostruire.

Tirò un lungo sospiro.
– Non sarà per niente facile e, se vuoi la verità, non sono affatto
sicuro di farcela. Ci vorranno mesi, forse anni prima che ci si senta a
nostro agio come prima tra noi due. Sempre che ci si riesca. Intanto da
stanotte non voglio più dormire con te. Starò nella stanza degli ospiti e
domani andremo all’Ikea a comprare due letti singoli da mettere al
posto del matrimoniale. Questo è il massimo che posso fare per il
momento: non cacciarti e non andarmene. Ma tornare ad essere come prima è
un’altra storia e per ora non se ne parla.

Si girò a guardare sua moglie, seduta al buio sul divano.
– Io voglio provare a salvare questo matrimonio. Magari, con un po’ di
fortuna, ce la potremo fare se anche tu ci metterai tutto l’impegno
necessario nei mesi a venire. Lo spero proprio. Perché ti amo ancora,
Silvia.

E, dicendo queste parole, si infilò il giaccone e uscì nel freddo di
quella livida mattina di febbraio chiudendo la porta dietro di sé a non
sentire i singhiozzi sommessi di sua moglie.

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