Una tortura insolita /3

di Milka

Capitolo 3 – Le Scale

Ok, c’è un problema.

Un piccolo ostacolo da superare che non avevo calcolato.

Anzi, sinceramente non avrei neanche mai immaginato potesse essere un ostacolo.

Le scale.

La
camminata fino a qui è stata tutto sommato tranquilla. Non ci sono
stati grossi inconvenienti. A parte il fatto che ci ho messo quindici
minuti in più del solito a percorrere il tragitto, essenzialmente per
due motivi.

Uno, non riesco a camminare e
scrivere contemporaneamente. Sono negata, quindi per poterLe rispondere
dovevo ogni volta rallentare il passo.

Due,
quella che forse è la causa principale, ogni circa 200/300 metri dovevo
fermarmi per riprendere fiato. Potrà sembrare assurdo, ma se avessi
usato il pennarello per penetrarmi e ora fosse dentro di me, sarebbe
molto meglio rispetto all’aver dovuto camminare con quest’affare tra le
gambe.

Durante tutto il
cammino ho provato sensazioni contrastanti. Da un lato desideravo che il
pennarello e i collant non ci fossero, speravo di potermi liberare di
questa stimolazione persistente, molto spesso fastidiosa, che non mi
dava pace e non mi consentiva di pensare ad altro.

Ma dall’altro… dall’altro volevo di più. Molto di più.

Ad
ogni piccola scossa di piacere avrei voluto afferrare l’orlo dei
collant e tirarli verso l’alto, per sentirli insinuarsi dappertutto.
Ogni volta che il pennarello sfiorava il clitoride, stringevo le cosce
per prolungare quell’agonia, e avrei voluto allungare una mano per
prenderlo e strofinarlo contro il mio sesso fino a farmi male.

Quelle
leggere stimolazioni non facevano altro che rendermi sempre più
sensibile ed accendermi, sempre di più, senza però darmi il vero piacere
che tanto stavo desiderando.

E Lei
questo, quando mi ha dato l’ordine, lo sapeva bene. Sapeva che sarebbe
stato intenso, ma allo stesso tempo non sufficientemente intenso. Questo
è il suo gioco e io sono la sua pedina, vuole portarmi al limite.

E
adesso sono qui, bagnata e frustrata, con lo sguardo fisso su questo
nuovo ostacolo che neanche pensavo avrei potuto temere. Mi attendono ben
quattro rampe di scale.

In treno è
bastato sollevare appena la gamba per farmi sfuggire quel gemito, ora
invece la gamba dovrò sollevarla svariate volte, e pure distenderla.
Penso non sia difficile immaginare cosa faranno le calze…

Mi
decido e comincio a salire i primi gradini. Forse sono stata troppo
drammatica, non è poi così male, pensavo molto peggio. Salgo la prima
rampa senza nessun problema, ma è da metà della seconda che la
situazione comincia a complicarsi. La stimolazione diventa davvero
troppa. Ad ogni scalino i collant salgono sempre di più, e con loro
anche il pennarello, che sta diventando un tutt’uno con la mia carne. Ho
gli occhi sbarrati, puntati a terra, e penso solo a sollevare il piede
per fare il prossimo passo, sperando di non mancare il gradino.

Sono all’ultima rampa, vedo la cima.

Il pennarello non sta fermo un secondo. Ogni piccolo sfregamento genera una scossa, via via sempre più intensa…

sempre più intensa…

fino a quando, lo sento montare…

E alla fine eccolo.

Appoggio la schiena contro il muro e vengo.

Chiudo
gli occhi e mi mordo le labbra per bloccare la moltitudine di gemiti
che altrimenti sarebbero usciti dalla mia bocca. Mi lascio scuotere dai
tremori di un orgasmo non molto intenso, ma folgorante, di quelli che ti
prendono la testa e ti lasciano con più fame di quanta non ne avessi
prima.

Dura qualche secondo, e poi riprendo il controllo.

Ho le gambe di gelatina, mi mancavano solo quattro gradini.

Sento
dei passi, ma non ho la forza di ricompormi, rimango lì attaccata al
muro a fissare dritto davanti a me, con il fiatone, la faccia rossa e
probabilmente i capelli incasinati, come dopo ogni orgasmo che si
rispetti.

Dalla tromba delle scale sbuca
un ragazzo. Lo conosco, si chiama Manuel ed è nel mio stesso corso. Lo
avevo adocchiato già da un po’, un gran bel ragazzo, niente da dire.
Moro, occhi verdi, alto e con un bel fisico da sportivo. Sono abbastanza
certa che anche lui abbia adocchiato me, visto che l’ho beccato
svariate volte a guardarmi durante le lezioni. Però non abbiamo mai
avuto modo di dirci più di un semplice “ciao”.

Non
appena mi vede non nasconde un certo stupore, non lo biasimo. Faccio
finta di non notarlo, sperando che tiri dritto senza fare domande, ma
ahimè non va esattamente così.

– Tutto bene? – Lo guardo distrattamente e cerco una scusa plausibile.

– Sì, tutto apposto… mi è solo, ehm… venuto un crampo al polpaccio!

– Ah, quelli sono brutti. Vieni ti aiuto io. – Si avvicina, appoggia per terra lo zaino e si inginocchia davanti a me.


Posso? – mi domanda indicando il mio piede. Annuisco e lo osservo
mentre afferra la punta della mia scarpa e la spinge verso la gamba per
farmi distendere il muscolo.

Io cerco di
non scoppiare a ridere. Altro che ingegneria, quella volta dovevo andare
a fare l’attrice! Non riesco a credere che si sia bevuto la mia balla.

– Va meglio?

– Sì, grazie mille. Sei stato gentilissimo.

– Figurati, nessun problema.

E’ ancora inginocchiato e d’un tratto lo vedo cominciare ad annusare l’aria.

Merda! Non può davvero aver sentito…

Ritraggo la gamba e, dopo averlo ringraziato di nuovo, schizzo via dirigendomi verso la toilette.

Appena sono chiusa in uno dei bagni tiro l’ennesimo sospiro della giornata.

Con
un po’ di titubanza allungo una mano dentro ai collant e non sono
stupita di quello che trovo. Un vero e proprio lago. Ritraggo la mano e
la porto davanti al viso, le dita intrise dei miei umori.

Le
annuso. Mi è sempre piaciuto il mio odore, delicato ma inebriante, ed
in certi giorni un po’ troppo intenso, e per mia sfortuna oggi è proprio
uno di quei giorni. Nella posizione in cui si trovava dubito che Manuel
non l’abbia sentito, e certi tipi di odori sono davvero difficili da
confondere.

Tiro fuori il telefono, ho ancora un quarto d’ora prima che cominci la lezione.

La aggiorno su quanto è successo dal mio ultimo messaggio. Le scale, Manuel e… l’orgasmo.

“Quindi sei venuta?”

“Sì… non sono riuscita a trattenerlo…”

“Molto bene. Toccati.”

Come? Così all’improvviso?

“Ora? Qui in bagno?”

“Mi sembra di essere stata chiara. Voglio che ti tocchi, adesso. E mi dirai i dettagli.”

Fortunatamente
essendo mattina presto i bagni sono puliti e profumati, freschi di
pulizie, così vado a sedermi sopra la tavoletta del gabinetto. Allargo
le cosce e infilo di nuovo la mano dentro ai collant. Trovo il
pennarello e finalmente faccio quello che avrei voluto fare durante
tutto il viaggio fino a qui. Lo afferro e comincio a farlo scorrere,
mentre con la mano sinistra tengo il cellulare e Le descrivo con minuzia
ogni mia singola mossa.

Le dico come sto
facendo strofinare con forza il pennarello contro il mio clitoride,
facendolo impazzire, come lo inclino per farlo entrare dentro di me,
come poi lo porto alle labbra per assaggiare i miei umori e come lo
succhio e lo lecco per ripulirlo per bene. Le descrivo i miei sospiri, i
mei gemiti.

Poi le dita raggiungono il
mio sesso e finalmente posso penetrarmi. Le sento scorrere dentro di me e
in un attimo sono di nuovo all’apice.

“Ci sono quasi…”

“Stai per venire?”

“Sì… Padrona…”

Solo
digitare quella parola mi fa sentire un’intensa scossa di piacere, che
parte dal cervello, scende lungo la spina dorsale, e arriva fino al
ventre. Sono pronta per esplodere.

“Perfetto. Fermati.”

No, non può farlo davvero…

“Ti prego… sono al limite.”

“Stai protestando per caso?”

La mia mano rallenta fino a fermarsi del tutto. C’ero quasi, mancava davvero pochissimo, ma non posso disubbidirLe.

Non voglio disubbidirLe.

“No, scusa Padrona.”

“Meglio.
Così impari a venire senza il mio permesso. Vedrai che sentire gli
umori che ti colano fra le cosce per le prossime ore, ti farà imparare
la lezione.”

Le
punizioni fanno parte del gioco, ma questa ha colpito proprio nel segno.
Il pennarello è tornato fra le mie cosce, ma questa volta, su sua
richiesta, è posizionato dentro di me, e sto rivalutando la mia teoria
su quale sia effettivamente la situazione peggiore.

Dopo essermi data una sistemata mi sto dirigendo verso l’aula.

Dire
che ora sono infoiata sarebbe un eufemismo. Sono come una molla
caricata al limite, basterebbe un nonnulla per farmi scattare, potrei
saltare addosso al primo che mi lancia uno sguardo.

Entro
in aula e mi infilo nell’ultimissima fila. Spero che nessuno dei miei
amici mi abbia vista, l’ultima cosa che ho voglia di fare ora è parlare
con qualcuno. Appoggio la testa contro il muro e aspetto che arrivi il
professore.

Le prime due ore passano senza
che io riesca a sentire una singola parola della lezione, la testa è da
tutt’altra parte. Lei non ha mai smesso di inviarmi messaggi, di
provocarmi, ben consapevole dell’effetto che mi fa. Così il sangue
invece di affluire al cervello, continua a finire da tutt’altra parte,
molto più in basso.

Sento la carne
pulsare e sembra quasi implorarmi di darle sollievo. Cedo.
Distrattamente faccio scendere una mano tra le cosce, cominciando ad
accarezzarmi da sopra le calze. Per fortuna però sono distratta dal
professore che annuncia la fine della lezione, altrimenti dubito sarei
riuscita a fermarmi, e poi sicuramente la punizione sarebbe stata peggio
di questa, molto peggio.

Durante la pausa non mi muovo dal mio posto, voglio solo che passino queste ultime due ore e andare a casa.

– Allora, come va il polpaccio?

Mi volto e vedo Manuel che mi sorride mentre si infila nella panca per venirsi a sedere affianco a me.

– E’ libero, posso sedermi?

Gli
sorrido di rimando, cercando di ignorare il risveglio improvviso
dell’amica che ho tra le gambe (non che prima fosse addormentata) e
cercando di essere il più naturale possibile. Sposto la borsa per farlo
sedere e cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Si capisce
subito che è molto sicuro di sé, ma al tempo stesso a modo e molto
gentile, come lo è stato prima sulle scale.

Mi piace… molto, e la mia amica non smette per un secondo di ricordarmelo.

– Comunque… prima mentre salivo le scale, avrei giurato di aver sentito qualcuno ansimare. Tu ne sai qualcosa?

Mi
sta guardando dritta negli occhi, con uno sguardo di sfida. Cerco di
rimanere impassibile, anche se penso di essere sbiancata.

– Io non ho sentito nessuno ansimare…


Può essere che mi sia sbagliato. Però è strano, non ho mai sentito di
qualcuno che quando ha un crampo si morde le labbra, comincia a tremare e
si accascia contro il muro. Devi essere una ragazza davvero speciale.

Merda… allora mi ha vista!

Sul
suo viso si è disegnato un ghigno e anche se riesco ancora a sostenere
il suo sguardo, sto lentamente andando in frantumi. Vorrei scomparire.


Non ti preoccupare, il tuo segreto è al sicuro con me. Non racconterò a
nessuno dei tuoi “crampi”. Ma sappi che… – si avvicina e mi sussurra
all’orecchio – …hai un profumo davvero delizioso.

– Bene ragazzi, cominciamo…

La
voce del professore risuona nell’aula, attirando l’attenzione di
entrambi. Nessuno dei due si era accorto che il prof. fosse entrato in
aula, ma io penso di non essere mai stata così felice di vederlo.

Non mi sbagliavo. Era impossibile non avesse colto l’eau de parfum che emanavo e che, molto probabilmente, emano tutt’ora.

Un altro secondo nelle sue grinfie e non avrei più risposto delle mie azioni.

Tiro
fuori carta e penna e mi impongo di prendere appunti, ignorando
categoricamente la persona seduta al mio fianco, che se la sta ancora
ridendo sotto i baffi, continuando a fissarmi.

(Sì, non avevo sbagliato proprio per niente a leggere la sua personalità, è proprio un ragazzo a modo e gentile!).

La
mia testa però si ribella, rifiutandosi di obbedire alle mie minacce e
continuando a pensare a tutt’altro. Dopo neanche un minuto ho già perso
il filo. Ormai è chiaro che la lezione di oggi per me è stata
assolutamente inutile.

Non mi resta altro che prendere il cellulare.

Finiamo a parlare di Manuel, ovviamente.

“E’ seduto vicino a te?”

“Sì.”

“E in che posizione siete?”

“Ultima fila, vicino al muro.”

“Perfetto. Ricordi che ti ho detto più volte che devi imparare ad essere più troia?”

Non mi piace.

Perchè sta tirando fuori l’argomento proprio ora?

“Sì… me lo ricordo…”

“Questa è l’occasione perfetta.”

Deglutisco.

“Lo farai godere. Mani, bocca… scegli tu come. Ma lo devi far venire!”

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