L’ascensore (Cap. 2)
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Confusione.
Ecco qual è la sensazione che più di altre mi possiede. Una dopo l’altra le immagini della mattina si presentano davanti a me, scorrendo ripetutamente come in un trailer, la mia fantasia s’inerpica su vette mai viste, riuscendo a farmi vedere dal fuori quello che era successo. Un nugolo di sensazioni forti mi prende, mi strizza, mastica e getta nell’oblio della curiosità.
Che cosa sto pensando? Davvero mi sto proponendo di tornare lì, come mi ha chiesto? A pensarci bene, la voce di quella donna non aveva un tono di richiesta; sembrava piuttosto imperativo, come se mi stesse ordinando di tornare lì e anche quando e a che ora. Confusione e subbuglio. Le immagini scorrono veloci, vedo il film di me stessa in quell’ascensore, l’unica persona a fuoco. Tutto il resto sfocato. Mi sorprendo eccitata, curiosa di scoprire come andrà a finire, che cosa ha o hanno in serbo per me e, soprattutto, chi è?
Ascensore D. Mi chiedo, dove è l’ascensore D, non l’ho mai vista in quel grattacielo. Mi aggiro per la hall e vago con lo sguardo, cammino su quei tacchi alti e mi chiedo se loro mi stiano guardando. Oggi ho messo addosso un tailleur nero, con sotto una camicetta bianca. Non so perché, ma volevo sembrare più professionale, chissà poi perché. Vago per i corridoi larghi del piano terreno, mi guardo in giro come una cretina, cercando uno straccio di cartello che mi indichi dove cavolo è quest’ascensore D. Sembrerebbe facile, l’ascensore D dovrebbe trovarsi dopo il C, ma non è così perché il C è in un corridoio cieco, niente oltre.
Ed ecco che così ho girato i tacchi e mi sono diretta dalla parte opposta del grattacielo, sulla sinistra. Ecco che sul corridoio principale si intersecano una marea di altri corridoi più stretti, qui gli ascensori hanno i numeri e non le lettere ed io sto cominciando a innervosirmi, sta per venire tardi e vorrei essere puntuale. Puntuale per cosa? Mi chiedo all’improvviso e la mia personalità nascosta risponde: puntuale perché ti è stato ordinato di essere qui a un’ora precisa. Lascio correre, abbandono la mia personalità nascosta che mi ha fatto essere qui, quella che forse dovrei tenere più a bada e non lasciarle fare tutto ciò che vuole, come in questa occasione.
Finalmente ecco un cartello direzionale per l’ascensore D. È in fondo al corridoio grande, poco prima di girare l’angolo. Uno di quei cartelli che uno direbbe sia uscito dalla hall di un hotel a sette stelle. Pedana e asta in ottone, tanto lucidi che ci si può specchiare dentro, cordone decorativo attorno, color bordeaux e porta cartello anch’esso in ottone lucidato. Mi sento stranita. Seguo il cartello e il corridoio si restringe sia sulla destra sia sulla sinistra, diventa quasi un budello stretto e alto. Continuo a camminare, anche un po’ di fretta, vista l’ora e arrivo in un minuscolo atrio, dove trovo una guardiola di portineria. Un uomo alto e allampanato è in piedi sulla porta, veste una livrea nera e bordeaux con tanto di cappello. Sono ancora smarrita. Mi avvicino per chiedere informazioni.
«Mi scusi io starei cercando l’ascensore D. Può indicarmi dove devo andare?»
L’uomo mi guarda, poi si piega all’interno della guardiola e consulta un blocco con dei fogli.
«Certamente. Prima svolta a destra lo trova lì.»
«Grazie mille, credevo già di avere capito male. Questo posto è un labirinto.»
L’uomo accenna un sorriso, mentre io mi accingo a proseguire.
«Signorina, un attimo. Venga.»
Che cosa vorrà mai, mi chiedo, mentre faccio per l’ennesima volta inversione di marcia e torno indietro.
«Sì, mi dica. C’è qualche problema?»
«Oh no, per nulla. Vede, però la Signora mi ha detto di farle lasciare qua il suo cellulare e di prendere questi.» Mi dice, mentre mi porge un cassettino di plastica in cui si trovano un altro portatile e un auricolare singolo dalla forma molto aggraziata, di quelli che si agganciano all’orecchio.
Rimango interdetta e comincio a balbettare.
«Ma…ma, devo lasciare qua il mio telefono?»
«Evidentemente sì.» Fa il portinaio, continuando a presentarmi il cassettino «Così mi è stato detto di dirle.»
Poi non un fiato in più. Io sono stralunata. Ma che diamine vuole fare questa? La mia personalità nascosta mi dice di non farmi troppe domande, mollare il mio telefono lì e prendere quello nel cassettino e mettere l’auricolare. Così faccio e poi proseguo per l’ascensore. Una bella D stampata sopra la porta, la identifica, non posso sbagliare. Pigio il pulsante e l’ascensore è già al piano, le porte si aprono. È deserta. Entro e le porte si chiudono dietro di me.
«Sei in ritardo.» Afferma la voce della donna dall’auricolare. La riconosco immediatamente.
«Sì, scusi.» Rispondo, guardandomi attorno per capire se devo pigiare qualcuno dei pulsanti.
«Piano ventinove.»
Pigio e l’ascensore parte.
«Come dicevo, sei in ritardo. Levati il reggiseno e buttalo in un angolo.»
«Ma perché?»
«Perché sei in ritardo e perché l’ho deciso io. Ti basta?»
«Va bene.»
Armeggio con il gancetto dietro la schiena, dopo essermi tolta la giacca. Sgancio il reggiseno e come mi ha insegnato anni fa la mia mamma, riesco a sfilarlo senza neanche levarmi la camicetta. Indosso nuovamente la giacca e butto il reggiseno in un angolo dietro di me.
«Ora voltati e mettiti faccia all’angolo. Proprio dove hai buttato quel pezzo di biancheria inutile. Stai ferma e non ti voltare mai. In silenzio.»
Io mi giro e faccio come mi viene detto. Penso che d’altra parte sono sola qua dentro, non come l’altra volta in mezzo alla folla. Ficco la faccia nell’angolo e rimango in piedi eretta. Mi accorgo di essere già mentalmente eccitata.
***
[Fine]
di Altramira
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