L’ascensore (Cap. 3)

Questa è la parte 3 di 3 della serie L'ascensore
l'ascensore

La cabina sale lentamente e un ‘dlin’ testimonia il passaggio di ogni piano. La voce della donna sussurra nell’auricolare, suadente e sensuale.

«Non mi piace il tuo outfit di oggi, non ti si addice. Dovremo modificarlo leggermente.»

Quando il campanello rivelatore suona due volte, l’ascensore si ferma. Le porte si aprono e sento dei passi: qualcuno sta entrando.
Rumore di tacchi alti sul pavimento della cabina.

L’istinto mi porta a tentare di voltarmi, ma la voce della donna mi ferma:

Faccia nell’angolo. Stai ferma.

Come se qualche improbabile comando subliminale mi fosse stato impartito, torno a fissare il punto dove due delle paratie della cabina si uniscono.

Mi ordina di chiudere gli occhi e lo faccio, mentre ricominciamo a salire. Sento sul mio collo l’alito di una delle persone che sono salite; non una parola, ma la donna continua a parlare.

Come ti dicevo, non hai scelto un abbigliamento adeguato per questo appuntamento. Un tailleur? Pensavi di avere un incontro con il tuo capo? Ora la mia segretaria rimedierà al tuo errore.

Mi sento quasi umiliata da questa affermazione: avevo indossato qualcosa di elegante, qualcosa che pensavo potesse piacere, intrigante, ma elegante.
Questo almeno credevo, ma evidentemente la donna dell’ascensore non è d’accordo. Chissà che cosa desidera che indossi, chissà dove andrà a parare il suo gioco.

Certo è, che questo suo gioco al gatto e il topo mi eccita, senza una ragionevole logica.

Sento afferrare la gonna del tailleur, la stoffa tirata e mi accorgo che la cucitura laterale cede e si strappa, la pelle della coscia rimane esposta, sempre più su, mentre il rumore di stoffa strappata continua a rimbombare nella cabina.
A metà della coscia immagino, credo e spero che si fermi, invece continua, quasi a sfiorare l’elastico delle mutandine.

La prima emozione che si impadronisce di me è la rabbia; ma lo sa quanto costa questo tailleur? Come si permette di rovinarlo?
Poi poco alla volta, secondo per secondo, l’eccitazione si insinua nella mia rabbia e alla fine diventa un’emozione unica, qualcosa di nuovo, un senso di umiliazione misto a eccitazione e a tormento per ciò che sta succedendo; quasi si fa strada dentro di me anche un senso di angoscia, per non essere in grado di controllare la situazione, ma la costante che mi stupisce di più, è questo senso di eccitazione che provo, che amalgama tutte le altre sensazioni ed emozioni.

La sua segretaria profuma di sandalo, la mia coscia percepisce le sue dita come lunghe e affusolate, quando appoggia leggermente le unghie sulla pelle, capisco che sono squadrate sulla punta.
Le sue dita vanno sull’interno della mia coscia, ormai libera dalla stoffa della gonna, si arrampicano sul mio inguine e toccano la stoffa delle mie mutandine bianche, lì dove tra l’ano e la vagina esiste un territorio usualmente poco esplorato.

Un polpastrello massaggia quel punto delicatamente, in maniera oserei dire oscena, improvvisamente la lingua sul collo, poi dietro all’orecchio, sento che è appuntita e mi eccita.
Poi le dita di entrambe le mani sulla stoffa della mia camicetta, giocano sui seni per un po’, dunque le unghie stuzzicano i capezzoli e io mi sento imbarazzata, mentre questi si induriscono e il mio corpo desidera continuare ad essere toccata.

Il corpo della sua segretaria è ora appiccicato alla mia schiena, posso sentire i suoi seni, la sua pancia, le sue gambe.
Le unghie continuano la tortura, pizzicano leggermente, sfiorano e si divertono sui miei capezzoli, attraverso la stoffa.
Poi indice e pollice prendono il primo bottone, lo torcono e lo strappano via dalla stoffa e poco dopo anche il secondo ha lo stesso destino.
Le sue dita sull’elastico delle mutandine, lo allontana leggermente dalla pelle e lascia cadere dentro i due bottoni.

Non perderli.- La voce è quella della segretaria, che mi ha sussurrato questa frase all’orecchio.

Non me l’aspettavo, avrei detto che avrebbe parlato sempre e solo la donna per cui lavora.

È una voce pastosa, giovane, elettrizzante ed erotica, molto sexy.
A quelle parole, sarà anche per il tono e l’inflessione, il modo in cui modula il suono, il mio corpo vibra.

La segretaria mi accarezza le natiche, spinge la stoffa delle mutandine tra di loro, quasi arrotolandola.

Sento i due bottoni tra me e la stoffa, la cosa mi sta eccitando e io me ne sto vergognando, non voglio eppure è così.

Difficile spiegare la sensazione che si prova quando sei sicura di non volere una cosa, ma la stessa ti attrae in modo inequivocabile e non riesci quasi a farne a meno.
È un tormento, ma da questo non sei in grado di distogliere il pensiero e la voluttà fa sì che tu lo desideri , almeno tanto quanto tu non lo voglia.
È qualcosa che ti incide la mente profondamente e ti lascia sospesa in un limbo di pensieri cui non riesci arrivare a capo, un’emozione che non conosco e che faccio fatica a controllare, anzi, non controllo per niente.
Lascio che vaghi per il mio cervello e la mia mente e che dilaghi e si impossessi di me, non so come fermarla, mi sento inerme.

L’ascensore si ferma. Sento il corpo della segretaria staccarsi dal mio e il rumore dei tacchi allontanarsi.

Ora torna giù.- Ordina la voce della donna nell’auricolare.

Io schiaccio il pulsante 0 e l’ascensore riparte verso il basso.

Continuo a non capire le mie sensazioni.
Più penso, meno riesco a venirne a capo, mi sento confusa e frastornata, ma qualcosa si fa strada dentro i miei pensieri, sento un fremito e desidero quasi che succeda ancora.

L’ascensore si ferma al piano terra.

Esci e vai a destra, troverai i bagni, entra lì dentro.- Nessun’altra spiegazione.

Ma perché faccio quello che mi dice? Bella domanda mi rispondo, non lo so neanche io.

Faccio come mi ha detto ed entro nei bagni.

Non sono bagni schifosi come di solito si trovano in qualsiasi parte tu vada, oserei dire che sono eleganti, ci sono anche un paio di sedie, apparentemente scomode a vedersi, ma solitamente non si trovano.
I lavandini sono ovali e con grandi specchi sopra di loro, ci sono solo tre cubicoli.

Vai a un lavandino e guardati allo specchio.

Mi avvicino timorosa di vedere la mia immagine.

Il viso è rosso, sarà per quello che è successo nell’ascensore o perché mi vergogno, forse più la seconda ipotesi che la prima, ma in ogni modo è rosso. La camicetta, priva di bottoni, si apre sui seni e si vedono chiaramente i capezzoli ancora duri appena coperti dalla stoffa.

Mi rendo conto che il rosso si sta espandendo sul mio viso, mi allontano per guardare come è conciata la gonna e capisco che ad ogni passo la mia coscia esce dallo spacco creato dalla segretaria e tutto questo mi fa arrossire ancora di più.

Certo non è un’immagine brutta, mi sento molto sexy e desiderabile, ma ho sempre creduto che questo modo di apparire, fosse più indicato per una cenetta intima, magari a casa e neanche in pubblico.
Più penso e più mi guardo, più la mia vergogna sale e la mia confusione sul perché sto facendo tutto questo aumenta.

Ora ci sono due possibilità.- Dice la donna nell’auricolare.

Io non so se e come risponderle.
Non ho idea di quali possibilità stia parlando e so che lei sente la mia esitazione dal mio respiro.

Continuo a guardarmi allo specchio e vedo i miei capezzoli indurirsi ancor più, mi sento elettrizzata, come intrappolata in questa gabbia di sensualità e lussuria da cui non so come uscire.
A essere onesta non so nemmeno se voglio uscirne, almeno in questo momento.

Poi la voce della donna mi risveglia dai miei pensieri.

Le due possibilità sono: torni dal portinaio, lasci questo telefono lì, ti riprendi il tuo, vai a casa e non ci sentiremo e non ci vedremo mai più; oppure torni dal portinaio e lasci anche le chiavi della tua auto, tieni questo telefono e il tuo lo tengo io ancora per un po’.
Esci così come sei e vai a casa camminando e manderai un messaggio sull’unico numero salvato che trovi, una volta a casa.
La scelta è la tua ma sappi che se scegli la seconda opzione dovrai fare come ti dico io per trenta giorni, senza nessuna possibilità di obiettare alle mie istruzioni.
Ora, a te la scelta. Hai sessanta secondi, poi dovrai rispondermi.”

Mi guardo attorno.

Non so, non so.

Mi esplode il cervello, non ho idea di che cosa fare, non so come scappare da questa gabbia mentale.

Sì? No? Sessanta secondi possono essere lunghissimi o brevissimi, ma temo che in questo caso siano i più brevi che abbia mai passato nella mia vita.
Trenta giorni, un mese e poi? No, non è la domanda giusta.
O sì? Che cosa succede in questi trenta giorni? Non lo so, non lo saprò mai in anticipo.

Non voglio…

Oh ma sì che voglio.

Non lo so, eppure lo so, sento il mio corpo desideroso di quelle strane attenzioni, ma mi vergogno, non sono così io, o forse si?

Tic, toc, tic, toc.- Perentoriamente e sadicamente la voce della donna mi segna il tempo e mi fa letteralmente impazzire.

Ok, ok. Va bene.

Va bene cosa?

Faccio come vuole lei per trenta giorni.

Ne sei sicura?- Ora vuole instillarmi il dubbio? Lo fa apposta?

Lo faccio. Prometto.-

Ma che diavolo ho detto? Lo prometto? Da quale sudicio anfratto del mio cervello è uscita questa affermazione?

Va bene. Allora porta le chiavi della tua auto al portinaio e vai a casa a piedi. Niente mezzi pubblici o taxi. Voglio che cammini fino a casa. Intesi?

Sì intesi, va bene.

Bene. Attendo un tuo messaggio quando sarai a casa.

Passo dalla portineria e il portinaio mi saluta gentilmente, dopo che ho consegnato le chiavi dell’auto.
Esco dallo stabile e mi metto l’anima in pace, avrò da camminare per un’ora almeno.

Lo spacco mette in vista la mia coscia, la camicetta mette in risalto i miei seni e i capezzoli sicuramente; io cerco di camminare guardano dritta davanti a me, inforco un paio di occhiali da sole che ho nella borsa, anche se mi sembra una strategia stupida, ma qualcosa coprono, almeno gli occhi. Mi danno anche la possibilità di accorgermi, senza essere vista, degli sguardi che mi seguono o che mi fissano.

Mi sento esposta, messa in mostra davanti tutti da quella donna.

Il mio corpo reagisce in modo strano e non riesco a capirlo.

Sento quei due bottoni nelle mutandine, sono scesi in basso e mentre cammino mi stuzzicano dove non dovrebbero, quasi mi eccitano, anzi, senza quasi.

Le mutandine arrotolate tra le mie natiche sono anch’esse causa di pruriti non desiderati, e sento la pelle nuda del mio sedere a contatto della stoffa della gonna.

Beh la giacca del tailleur può coprire, ma potrò abbottonarla? No, non credo, ha detto che devo camminare così come sono. Spero solo che il movimento faccia da sé.

Quante strade nuove, quante persone che mi osservano, mi fissano. Uomini, donne, tutti.
Forse sto emanando una quantità di ormoni allucinante, o forse è solo il modo in cui sono vestita, la mia coscia che esce a ogni passo e i miei seni e capezzoli che non potrebbero essere più visibili.
È davvero una sensazione molto strana essere vestita e sentirsi nuda davanti a chiunque.

Ma quello che non vorrei continua ad accadere, i miei sensi sono piacevolmente attivati, continua una lotta impari tra il mio cercare di essere normale e queste sensazioni ed emozioni che continuano a mangiarmi il cervello, procurandomi un sottile piacere, che io non vorrei provare, ma credo che vinceranno loro alla fine.

I viali alberati e la brezza che soffia, mi danno un po’ di sollievo.
Lo so che il mio viso è rosso, perché sento dentro di me quella stessa vergogna che ho provato solo da bambina, quando venivo beccata a fare qualcosa che assolutamente era vietato, tipo mangiarmi le ciliegie sotto spirito.
Non l’avevo mai più provata, ma forse ora è ancora più forte.

Vorrei sotterrarmi, nascondermi in un nascondiglio introvabile, ma l’altra parte, quella che mi sta mangiando il cervello, me lo impedisce. Mi forza a fare quello che ho promesso di fare. 

Finalmente arrivo al portone di casa.

Entro nell’atrio e vado dritta. C’è l’ascensore qua, la evito e mi rendo conto che c’è ancora una piccolissima parte di me che cerca di combattere.
Salgo le scale e per fortuna non incontro nessuno, apro la porta, entro in casa.

Immediatamente prendo il telefono, neanche mi siedo.
Mando un messaggio al numero che è salvato come ‘Signora Carla’. Non solo scrivo ciò che mi è stato chiesto, ma non so per quale motivo sento il bisogno di descrivere le sensazioni che ho provato e tutto ciò a cui ho pensato nel tragitto. Poi pigio invia.

«Brava! Ti contatterò io.» È la risposta scritta che ricevo.


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About Altramira

Altramira è un nick con una strana storia, in realtà, volendo prendere il nome del famoso sito archeologico spagnolo “Altamira” quando ho cominciato a scrivere racconti ho provato ad inserire quel nome sul sito dove pubblicavo, ma niente, non era possibile usarlo. Quindi dopo aver pensato a svariati altri nickname che non c'entravano assolutamente niente, mi sono chiesta perché non aggiungere semplicemente una lettera. Così è nato il nick Altramira, in realtà non ha un significato anche se parecchie persone in passato hanno cercato di darglielo. Il mio ingresso su Venere e il Sole avviene con un racconto in dieci capitoli, una cosa molto lunga per il mio solito stile. Infatti sono abituata a scrivere racconti di pochi capitoli o anche brevi e brevissimi dove risolvo tutto in un unico capitolo. La mia indole mi porta naturalmente a scrivere capitoli autoconcludenti. Questa è una sfida quindi per me stessa, trovare tempo e voglia di tessere qualcosa di più articolato e lungo. Gli argomenti della mia scrittura sono svariati, ho scritto erotic-fan-fiction di fantascienza in passato e anche qualche racconto ambientato in un non meglio precisato tempo nel passato, una sorta di fantasy erotico, ma senza draghi. I miei racconti, o almeno quelli che ho scritto fino ad ora (anche se non ancora pubblicati qui) sono frutto di mera fantasia, intesa come fantasia astratta, non frutto di fantasie erotiche mie personali o di altri. Però non si sa mai, forse esplorerò anche quel settore e nel caso avrò bisogno della piena collaborazione dei lettori (chissà, se mai lo vorranno). Spesso non riesco a scrivere un racconto erotico dedicandomi alla trama parallela, sicuramente in alcuni miei racconti è palese e finiscono per risultare una mera lista di attività sessual-erotiche senza un vero filo conduttore, ma ci sto lavorando. Credo di essermi esposta fin troppo. Aspetto le vostre di critiche adesso, positive negative, preferibilmente gentili in entrambi i casi. Mi piace cercare di capire dove posso migliorarmi e da questo punto di vista i lettori sono una fonte inesauribile di crescita. Quindi se avete voglia di sviscerare i miei racconti, darmi una mano a comprendere come io possa migliorare, o anche solo farmi sapere se un racconto vi è piaciuto o meno, se volete parlare di letteratura erotica, se volete parlare di erotismo in generale, di fantasie, dei racconti di altri e/o vostri, potete scrivermi qui: altramiratales@yandex.com

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