Fantàsia #7 – Okija

Questa è la parte 8 di 10 della serie Fantásia

di Blubear

Una vita con la solita routine può avere svolte inaspettate…

Capitolo 7 – Okija.

Sàpere aude.

La porta era davanti a lei, ma non la vedeva, non poteva vederla: aveva
chiuso gli occhi: non c’è la faceva più, avrebbe voluto fermarsi lì.

Avevano camminato molto da quando era uscita dalla sua stanza, un passo
dopo l’altro e quell’ultimo passo ancora le avrebbe fatto raggiungere il
traguardo, in tutti…
No, non è esatto, ‘con’ tutti i sensi.
Il vestito con il suo accessorio stava raggiungendo il suo scopo: una
lacrima sfuggiva dalle grandi labbra solleticando l’interno coscia nello
scendere verso la caviglia, il suono acquoso del dildo che picchietta
sulla clitoride impregnata di umori, il profumo che la figa emanava nel
grondare piacere.

Percepiva che si sarebbe persa in quel passo finale e si abbandonò: si
lasciò guidare da Hande come un cieco segue la sua guida, ubriaca delle
sensazioni che stava provando.

La porta si aprì, fece quell’ultimo passo e… fu la fine.
L’orgasmo fu potente: sentì le contrazioni di vagina e utero, quasi
dolorose, una scossa partí verso il cervello e rimbalzó indietro
trasformandosi in un rivolo denso e cristallino che cadde sul pavimento a
formare una piccola macchia.
Le gambe cedettero e il fiato trattenuto durante quelle sensazioni le
uscì dalla bocca con un sibilo profondo come… Un serpente, un serpente
che annuncia la sua presenza.

Lo spettacolo che si presentò ai chiunque si fosse voltato verso quel
suono fu di vedere Ween al fianco di Hande, inginocchiata e ansimante, a
capo chino, come un cavaliere che si annuncia al proprio signore.

-Ben fatto, Hande, ora puoi andare.

Ween riconobbe la voce, un brivido le corse lungo la schiena.
Per istinto serrò la mano che ancora teneva sul braccio della sua
‘attendente’: una tacita preghiera a rimanere; invece lei si ritiró
verso la porta lasciando che quella mano cadesse nel vuoto.

Rimase ancora in ginocchio, a testa bassa, spossata. Provava una
profonda vergogna ora che si rendeva conto di non essere stata sola con
Hande. Percepí il tocco delle mani protese verso di lei a sfiorare le
spalle.

-Su, Ween, non avere paura.
Era restia, ma si lasciò aiutare dalla Dottoressa ad alzarsi, senza riuscire però a sollevare lo sguardo: una bambina timida.
Con due dita sotto il mento le sollevò il viso.
-Guardami, aprì gli occhi.- la voce calma della Dottoressa era
rassicurante, non certo sprezzante come durante la ‘visita’; anche
l’espressione era benevola, quasi materna. Obbedì e…

“Oddio, no! non è possibile!”

Una sala enorme, si apriva di fronte a lei piena di specchi, vari divani
lungo le pareti, tappeti spessi e parecchi cuscini sparsi in giro; Una
decina di uomini la stavano osservando, così come le donne: tutte
vestite grossomodo come lei, ma sembravano essere il doppio degli
uomini.

Cominciò a tremare: stava mettendo assieme i tasselli.
Ogni indizio la portava verso una soluzione a lei terrificante: drogata,
rapita, prigioniera in un luogo sconosciuto che si rivela…

-Un casino, mi avete rapita per fare la puttana in un bordello!- le uscì
solo un sussurro, anche se stava per avere una crisi isterica.
-Uhm, no. Non è esatto.
-Come sarebbe: NON È ESATTO!- ribadí Ween alzando il tono, -Sono vestita
come una escort, ho un coso infilato su per la figa che mi sta facendo
impazzire, ho fatto cose che COL CAZZO mi sarebbero passate per la
mente, sono rinchiusa in una stanza dove sembra che tutti i cazzi
presenti vogliano inforcare il primo buco disponibile e tu… TU MI DICI
DI STARE CALMA!!!
Adesso era in piena crisi di nervi.

Il bruciore alla guancia fu repentino, non violento, ma sufficiente a zittirla.
-Hai finito?
-Sì…-, stava per piangere, -non voglio…
-Questo lo vedremo, adesso calmati,- il tono era, nonostante tutto, rassicurante, -tu qui sei un ospite.
-Come sarebbe: ‘un ospite’?
-Si, un ospite, per un desiderio espresso dalla persona a cui questo è dedicato. Lei glielo ha concesso.
-Lei chi?
La dottoressa le indicò un soppalco dove una donna elegantissima, in un
vestito nero, un cappello con veletta che celava il viso e una
capigliatura bionda raccolta a coda di cavallo legata molto alta, stava
osservando il gruppo di persone; come stesse assistendo a una pièce
teatrale.
-E cosa significa?- rintuzzo Ween
-Significa che nessuno ti costringerà a fare nulla.
-Tutto ciò che hai fatto finora… lo hai voluto tu,- proseguì la
Dottoressa infilando la mano nello spacco del vestito fin sotto la bocca
del serpente ricamato, -questo non puoi nasconderlo.
Ween ebbe un sussulto quando sentì quella mano indiscreta muovere il dildo dentro di lei.

Estraendo le dita bagnate di umori gliele accostó alle labbra. Ween
arricció il naso un po’ schifata ma, quell’odore era il suo, del suo
piacere, non poteva negarlo. Estrasse timidamente la punta della lingua e
la picchiettó tra medio e anulare, in un crescendo, sempre più veloce,
sempre più a fondo, con sempre più piacere: anche l’ultimo suo senso fu
appagato.

La Dottoressa sorrise compiaciuta, la prese per mano e la condusse verso il divano più vicino.

-Vedi, qui nessuno giudica e nessuno viene giudicato. Sei libera di essere.

In effetti, guardando intorno, non vide alcuna persona che la guardasse
in modo critico o facesse commenti su come si era comportata un attimo
prima.
Anzi sembrava che tutti stessero in qualche maniera flirtando tra loro.
Aveva anche la netta impressione che la Dottoressa stesse facendo la
stessa cosa: le era seduta accanto sussurrando le parole all’orecchio,
con voce lenta, sensuale, sfiorandole con le dita il collo e le braccia.

-Ricordi cosa hai provato durante la ‘visita’? A cosa stavi pensando? Cosa desideravi?
-Io, no… non saprei… ero…-, era sconcertata, lo sapeva, lo sapeva benissimo ma non lo accettava.
-Cosa volevi nella doccia? Ti sei fatta sditalinare da Hande, hai
goduto, eri eccitata, anche quando ti ha preparata per venire qui… e lo
sei ancora: lo vuoi, ammettilo!

La stava provocando sempre di più, le sue parole le entravano nel cervello e scendevano in basso accompagnate dalle sue carezze.
I baci dietro l’orecchio amplificavano quella sensazione: il respiro le
si fece più corto, i capezzoli le si indurirono, la sensazione di umido
in mezzo alle gambe, la voglia di serrarle su quell’oggetto ancora
dentro di lei.

-Io… Io non sono… Non voglio diventare…
-Cosa? Dillo!
Se mai fosse possibile la Dottoressa lo disse in un modo che sembrava
sia un ordine che una supplica, mentre afferrava il dildo in Ween,
cominciando a giocarci con movimenti esasperatamente lenti.

Le stava montando un orgasmo potente quanto quello che l’aveva annunciata alla sala.

-Cosa ti fa paura, cosa vuoi che nessuno veda?- insisteva, aumentando il ritmo della mano.

-…una troia…

-Oh, ma lo sei, tutte le donne lo sono,- fu lapidaria nella risposta,
-come tutti gli uomini sono dei porci! È la base, la base di tutti. Lo
sai e pretendi di nasconderlo, ma qui è impossibile, quindi: cosa vuoi
adesso?

Forse aveva capito, o forse ormai aveva raggiunto il punto di non
ritorno. La risposta le uscì con tutto il fiato che cercava di
controllare: -SCOPAAAHHHRE… un cazzo di maschio… qualcuno che… mi
riempia!
Imprigonó tra le gambe quella mano che sadicamente le aveva strappato
quella confessione, mentre poggiava la testa sulla spalla della
Dottoressa, ansimandole sul collo.
Il sottile gioco degli opposti: l’aguzzina, ora, era la dolce matrona.

-Non puoi bloccare completamente il potere che hai.
Accarezzò il viso di Ween poggiato sul suo seno mentre liberava la mano
dalla morsa in cui era stata trattenuta e aprendo con un rapido gesto lo
spacco del vestito così da rendere visibili le grazie finora oggetto
delle sue attenzioni.

-Senti, ascolta la sorgente del tuo potere,- proseguì, slegando i lacci
del vestito dal dildo, -questa è ciò che un Maschio brama e con questa
puoi domarlo.

Estrasse lo strumento di dolce tortura, ricoperto di lattiginosi umori e glie lo pose sotto il naso.
Quell’odore, la sua essenza su quell’oggetto, non era più un fastidio,
anzi la eccitava, la spingeva a annusare, a leccare, a succhiare; e
cominció a provare quella cosa che sapeva di non aver mai fatto: un
pompino in piena regola; anche se comunque si trattava di un simulacro
di cazzo.

-Ogni cosa ha un nome che gli dà potere,- continuò la Dottoressa,
-vagina significa fodero. Si … proprio il fodero della spada.

Ween la guardò, la guardò come quando da bambina, col ciuccio in bocca,
guardava la nonna che le raccontava le antiche storie del Paese.
Ora tutto era chiaro e le parole della nonna le uscirono naturali: -E finché la spada è accolta nel fodero…
-…le guerre non saranno combattute-, completò la frase la Dottoressa.

-Arwenamin…
-Dimmi, Ween.
-Perché?
-Perché devi scegliere. Ti è stato concesso di scegliere.
-Cosa? Scegliere cosa?

Gelith incontrò lo sguardo di Ween, chiuse gli occhi e chinò la testa. Non ci fu risposta.

“Sì, è la vita. Lo saprò solo dopo che avrò scelto.” Ora sapeva.

Si alzò, chiuse gli occhi, slacciò il colletto che teneva sosteneva la
parte superiore del vestito che scivolò a terra. Un brusio di
ammirazione accolse la visione di lei nuda audacemente avvolta da quel
serpente tatuato. Ora era in pace: nessun pensiero, nessuna ansia,
nessun preconcetto.

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